martedì 30 dicembre 2008

Ecco la macchina che legge la mente


Ricerca scientifica
Ecco la macchina che legge nella mente
Inserito da scienzetv il Lun, 15/12/2008 - 13:43

TOKIO, Giappone -- L'impresa ha del clamoroso anche se, da un certo punto di vista, mette i brividi. Stando a quanto affermato, un gruppo di scienziati giapponesi è riuscito a riprodurre sulla schermo le immagini prodotte dalla mente umana.
L'esperimento, condotto dai ricercatori dei Laboratori di neuroscienza computazionale Atr di Kyoto, ha dimostrato la possibilità di ricostruire varie immagini viste da una persona analizzando il suo flusso sanguigno cerebrale.
Per realizzare l'esperimento è stata utilizzata una macchina di risonanza magnetica (fMRI). Attraverso il complesso dispositivo sono state mappati i cambiamenti del flusso sanguigno al variare delle immagini percepite dal soggetto in un periodo di tempo di 12 secondi. Nel frattempo un computer analizzava i dati e associava le variazioni. Poi al soggetto è stata sottoposta una nuova serie di immagini e le lettere dell'alfabeto. Ebbene, il computer è stato in grado di ricostruire quel la persona stava vedendo, analizzando solo la sua attività cerebrale. Si tratta di un risultato clamoroso, che apre le porte ad ulteriori miglioramenti. Finora la ricerca è stata condotta con 400 immagini in bianco e nero. Ma gli scienziati contano di arrivare a definire situazioni più complesse, fino a rappresentare le immagini del pensiero e persino i sogni entro i prossimi 10 anni. I risultati dello studio sono stati pubblicati dalla rivista statunitense Neuron. Illimitato - quanto inquietante - il campo di applicazione. Si va dall'analisi dei processi mentali e creativi dei grandi artisti, alla cura delle allucinazioni e di patologie psichiatriche. Mentre gli scienziati pensano di estendere la ricerca anche a sentimenti e stati emozionali delle persone.

giovedì 25 dicembre 2008

Hanny's Voorwerp senza misteri




12 Dicembre 2008

Hanny's Voorwerp senza misteri
di Claudio Elidoro - Fonte: ASTRON






La scoperta di quello strano oggetto - subito battezzato Hanny's Voorwerp (Oggetto di Hanny) in onore di Hanny van Arkel, l'insegnante olandese che lo aveva scoperto - aveva lasciato tutti quanti perplessi. E non tanto perché quella nube verdastra estremamente calda e di dimensioni galattiche posta a circa 60 mila anni luce di distanza dalla vicina galassia IC2497 era finora sfuggita a ogni osservazione, ma piuttosto perché non era per nulla chiaro di cosa potesse trattarsi.Per capirne di più, un team internazionale guidato da Mike Garrett (ASTRON - Leiden) e del quale faceva parte lo stesso van Arkel ha osservato IC2497 e il Voorwerp con il radiotelescopio di Westerbork e con il VLBI. Dall'analisi delle osservazioni radio è emersa l'esistenza di un getto altamente energetico generato probabilmente dal massiccio buco nero posto al centro di IC2497 e diretto verso il Voorwerp. "E' come se quel getto proveniente dal cuore della galassia - ha commentato Garrett - si aprisse la strada nel denso mezzo interstellare di IC2497 dirigendosi poi verso l'Hanny Vorweerp e permettendo così a un fascio di intensa emissione ottica e ultravioletta associato al buco nero di illuminare una piccola parte dell'immensa nube di gas che avvolge la galassia. E' proprio quel fascio energetico che, riscaldando e ionizzando il gas della nube, crea quel bizzarro oggetto scoperto da Hanny."Se il meccanismo proposto è chiaro, un po' più misteriosa è invece la provenienza di quell'enorme quantità di idrogeno che costituisce la nube che circonda IC2497, valutata dai ricercatori dell'ordine di 5 miliardi di masse solari. A dire il vero, però, qualche idea concreta c'è, e anche piuttosto attendibile. L'analisi della nube, infatti, ha permesso di scoprire che si estende per trecento mila anni luce, puntando in direzione di un gruppo di galassie. Potrebbe dunque trattarsi dell'indicazione concreta che ci troviamo di fronte ai resti della violenta interazione mareale tra IC2497 e un'altra galassia.Insomma, sembra proprio che quel bizzarro oggetto scoperto quasi per caso da Hanny van Arkel ci abbia messo sulle tracce di una immane catastrofe galattica avvenuta centinaia di milioni di anni fa. Che ci nasconda anche qualche altro segreto?

lunedì 15 dicembre 2008

La Terra primordiale non era desolata


La dinamica delle zolle crostali poteva essere già attiva


La Terra primordiale non era desolata



Prove indirette dell'esistenza di acqua liquida, forse oceani, risalenti a 4,2 miliardi di anni fa
Come si pensava fosse la Terra nell'Adeano«Io non sono cattiva. È che mi disegnano così». La frase di Jessica Rabbit potrebbe adattarsi alla Terra primordiale, quella di 4,2 miliardi di anni fa, poco più di 300 milioni di anni dopo la formazione del nostro pianeta. Finora si era sempre pensato, e illustrato, la Terra del periodo Adeano (4,5-3,85 miliardi di anni fa) più o meno come l'inferno: atmosfera irrespirabile, vulcani e lava da ogni parte, rocce fuse in fase di raffreddamento, assenza di acqua liquida e di vita di qualsiasi ordine e grado, enormi asteroidi (fino a 200-300 km di diametro) che periodicamente colpivano il pianeta squassandolo. Recenti scoperte ribaltano questa immagine e, anzi, ne emerge una opposta: meno asteroidi e comunque non in grado di estinguere del tutto le prime forme di vita (archea) che si erano formate, acqua liquida e forse oceani, rocce solide che avevano formato una crosta con l'inizio dell'attività tettonica, ossia il movimento delle placche e la formazione di continenti, come avviene ora. Insomma, non proprio un paradiso, ma un posto passabile.


ZIRCONI - Sul giornale scientifico Nature è comparso uno studio guidato dal professore di geochimica a Ucla (University of California Los Angeles) Mark Harrison in cui si portano prove dell'esistenza dell'attività tettonica terrestre già nei primi 500 milioni di anni della storia del pianeta. Analizzando con nuove tecniche estremamente sofisticate le inclusioni nei cristalli di zircone rinvenuti all'interno di rocce laviche dell'Australia occidentale risalenti a 3 miliardi di anni, si è scoperto che gli zirconi sono molto più vecchi (4-4,2 miliardi di anni) e si sono formati in una zona in cui il flusso di calore era di 75 milliwatt per metro quadro, di gran lunga inferiore a 200-300 milliwatt al metro quadro previsto per quel periodo geologico. L'unico ambiente possibile per la formazione di zirconi con un flusso di calore così basso è quello della zona di collisione tra placche tettoniche, come avviene oggi tra la placca di Nazca nell'oceano Pacifico che s'infila sotto il Sudamerica e va a formare la catena delle Ande grazie anche a temperature di fusione inferiori dovute alla grande presenza di acqua nelle rocce.
ACQUA LIQUIDA - Finora gli scienziati giudicavano impossibile l'esistenza nell'Adeano di una tettonica attiva, ma questo studio dimostra due cose: la presenza di vaste estensioni di acqua liquida (oceani o almeno mari) e rocce già solidificate, quindi un ambiente molto diverso da un pianeta infernale di vulcani, colate di lava e rocce bollenti.

NUOVI SCENARI - Questo studio apre quindi scenari nuovi per la storia dell'evoluzione. Le più antiche testimonianze di vita sono contenute in rocce di 3,83 miliardi di anni rinvenute in Groenlandia, come riporta martedì il New York Times. Ma a questo punto la presenza di crosta solida e acqua liquida (e un minore bombardamento di asteroidi, come risulta da recenti studi) viene spostata a un periodo di molto anteriore, fino a 4,4 miliardi di anni fa, concedendo così una fase molto più lunga per il periodo di incubazione delle prime forme di vita, come presume Stephen J. Mojzsis, professore di geologia all'Università del Colorado.
Paolo Virtuani

02 dicembre 2008

(ultima modifica: 03 dicembre 2008)

sabato 13 dicembre 2008

L'universo che rimbalza



L'universo che rimbalza

Le Scienze, dicembre 2008, n.484

Il nostro universo potrebbe non essere cominciato con il big bang ma con un big bounce, un grande rimbalzo, ovvero l'implosione di un universo precedente che ha poi scatenato un'esplosione. Di Martin Bojowald

Chi acquista la rivista con allegato il libro, riceverà in omaggio il calendario di Telespazio
Secondo la teoria della relatività generale di Einstein l'universo è nato con la singolarità del big bang, un istante in cui tutta la materia che osserviamo era concentrata in un solo punto con densità infinita. Ma questa teoria non descrive la struttura quantistica fine dello spazio-tempo, che pone un limite alla concentrazione della materia e all'intensità della forza di gravità. Per ricostruire l'accaduto, i fisici hanno bisogno di una teoria quantistica della gravità. Secondo una teoria candidata a colmare questa lacuna, ovvero la teoria della gravità quantistica a loop, lo spazio è suddiviso in «atomi» di volume e ha una capacità finita di contenere materia ed energia, impedendo l'esistenza di una singolarità.Se così fosse, il tempo potrebbe essere esistito anche prima del big bang. L'universo pre-big bang potrebbe aver subito una catastrofica implosione che ha raggiunto un punto di massima densità, per poi invertire la rotta. Ovvero, una grande compressione avrebbe portato a un grande rimbalzo e poi al big bang.

giovedì 11 dicembre 2008

Nuova teoria sul Diluvio Universale


Nuova teoria sul Diluvio universale
Inserito da scienzetv il Gio, 11/12/2008 - 12:10
GERUSALEMME -- E' uno dei misteri più antichi della Terra. Narrato da poeti, leggende e miti. E non c'è archeologo al mondo che non ne abbia cercato le tracce, per confermare o smentire la sua esistenza. Stiamo parlando del diluvio universale e della mitica arca di Noè. Ora spunta una nuova teoria che sostiene che il diluvio ci fu eccome, in Galilea, settemila anni fa.
Secondo gli studi dell'archeologo inglese Sean Kingsley, il diluvio narrato da Bibbia, mitologia greca, epopea mesopotamica, tradizioni indù e civiltà precolombiane, altro non sarebbe che un'onda gigantesca che cancellò sei villaggi del Neolitico, lasciando ancora oggi - a dieci metri sottoterra - le tracce di quelle che un tempo erano case e templi. Kingsley si basa sugli studi effettuati sugli scavi del Monte Carmelo, in Galilea. Studi che contraddico la teoria ufficiale secondo cui il diluvio universale sarebbe avvenuto alla fine della glaciazione attraverso un'esondazione avvenuta molto più a Nord, fra il Mediterraneo e il Mar Nero. Un disastro immane avvenuto 9000 anni fa quando il livello del mare si alzò di 155 metri e le onde coprirono una regione di 150mila chilometri quadrati. Una catastrofe di cui però non ci sono segni tangibili, secondo Kingsley. «E' un assurdo - dice lo studioso inglese -. Come è possibile che un’alluvione del mar Nero non abbia lasciato segni? E' più plausibile, scientificamente, la leggenda dell’arca trascinata dai flutti e abbandonata sul Monte Ararat oppure questi sei villaggi, che furono travolti dalle acque nel cuore della terra biblica?".Secondo Kingsley, ci sarebbero indicazioni geologiche piuttosto evidenti che dimostrerebbero che i villaggi sono stati cancellati un’onda killer. In realtà la sua teoria deriva dagli studi di un altro archeologo, l’israeliano Ehud Galili. Questi, vicino a Haifa ha diretto il recupero del sito di Atlit-Yam, uno dei sei villaggi neolitici, il più grande mai ritrovato nell’area mediterranea. Tuttavia Galili, come diversi altri, nutre forti dubbi sull'inondazione in Galilea. «Non c’è nessuna prova che le case siano state abbandonate per un evento catastrofico. E non ci sono prove di un’onda assassina, bensì di un progressivo innalzamento del Mediterraneo. Il modo in cui questi villaggi furono sommersi non fu drammatico e non può essere rimasto così impresso nella memoria d’antichi popoli, per millenni, come lo fu il diluvio».

mercoledì 10 dicembre 2008

Internet, il futuro passa dalla fotonica



Internet: il futuro passa dalla fotonica
Inserito da scienzetv il Mer, 10/12/2008 - 12:37
NEW YORK, Usa -- Il tanto temuto collasso probabilmente non ci sarà. Internet e la spropositata quantità di informazioni contenuta nella rete continueranno a crescere grazie alla fotonica. Questa tecnologia permetterà di costruire chip per computer enormemente più veloci degli attuali e già in fase di sperimentazione in diversi laboratori di ricerca in tutto il mondo.
Secondo quanto riporta uno studio pubblicato su Nature Photonics, il futuro dei computer e della rete passa per le performance ottenute da un Avalanche Photo Detector basato sul silicio, invece che su un mix di indio e fosforo come accade ora. I ricercatori di Intel Labs puntano a trasmettere e ricevere informazioni ottiche attraverso l'impiego della fotonica su chip di semplice silicio.Le sperimentazioni hanno dato finora risultati eccezionali. Le prestazioni sono aumentate in maniera esponenziali rispetto ai dispositivi ottici attualmente in commercio. Inoltre i costi di produzione, dato che si tratta di un materiale facilmente reperibile, verrebbero enormemente ridotti. Ciò significa maggiori possibilità anche per internet. "La rete oggi, nelle sue condizioni migliori, raggiunge velocità di circa 100 megabits al secondo" ha detto a Repubblica il direttore del Photonic Techonology lab della Intel, Mario Paniccia. "Qui invece parliamo di velocità che vanno dai 10 ai 100 gigabyte per secondo. E a costi dieci volte inferiori".In futuro, grazie alla fotonica del silicio si potranno veicolare un numero molto più elevato d'informazioni attraverso la rete. La banda larga, dunque, è destinata a diventare larghissima, rendendo finalmente possibili le applicazioni di medicina remota o gli ambienti virtuali in 3 dimensioni. Oltre alle comunicazioni, sostengono gli esperti, questo tipo di chip basati sul silicio possono essere applicati ad altri settori. Si va dal rilevamento fotografico all'imaging, dalla crittografia quantistica alle applicazioni biologiche. Per il nuovo passo verso il futuro serviranno però almeno altri due-tre anni di ricerche. Certo è che il gioco vale la candela. Ne sono convinti gli scienziati della Intel. "Il guadagno in termini di velocità e di costi è tale che siamo sicuri che la strada che abbiamo intrapreso sia quella giusta".

martedì 9 dicembre 2008

Invasione di super formiche in Europa



Invasione di super formiche in Europa
Piante e Animali
Inserito da scienzetv il Gio, 04/12/2008 - 12:41




LONDRA, Gran Bretagna -- Il loro nome "Lasius neglectus" fa storcere il naso. Ancora di più lo fanno le conseguenze su giardini e coltivazioni. L'Inghilterra trema sotto l'assedio di milioni di formiche di una specie "aliena" (nel senso di "non locale") forse proveniente dal Centrasia.
Il Daily Teleghraph le ha già soprannominate "super aunt" (super formiche). Sono capaci di provocare disastri inimmaginabili nei giardini, prati, aiuole e tutto quanto sia per loro commestibile. Comprese le formiche "residenti".
Sulla provenienza di questo esercito di piccoli animali "divoratutto" si sta ancora indagando. Secondo una ricerca finanziata dall'Unione Europea e pubblicata dalla rivista scientifica online Bcm Biology, si tratta di una specie euroasiatica, originaria del Mar Nero. Ma come sono arrivate da noi? Probabilmente attraverso un'introduzione involontaria da parte di qualche turista. Le formiche potrebbero essersi infilate in zaini o a bordo di automobili. E via...I primi esemplari sono stati individuati nel 1990 a Budapest. Da quel momento è iniziata una marcia inarrestabile sull'Europa. Fino a superare, con lo stesso metodo, il canale della Manica alla volta della verde Inghilterra.Secondo quanto rilevato dai ricercatori sarebbero 14 le colonie di super formiche localizzate sul suolo europeo. Si va dalla Polonia alla Turchia, passando per Belgio, Francia, Spagna, Germania e Italia. Certo è che queste super formiche sono molto resistenti. Prosperano in ambienti urbani. Sono molto aggressive, ammazzano le specie native, sterminano ragni e altri insetti, sopravvivono sottozero e possono arrivare ovunque. Il problema è che creano formicai fino a cento volte più grandi della norma. I ricercatori sono preoccupati. L'Europa, concludono nel rapporto, è già stata attraversata da insetti invasivi, ma mai da una specie pestifera come questa.

giovedì 4 dicembre 2008

Sarà italiana la futura "vetrata" della stazione spaziale



» 2008-12-04 20:06
SARA' ITALIANA LA FUTURA 'VETRATA' DELLA STAZIONE SPAZIALE

WASHINGTON - Come nei film di guerre stellari, in un futuro non lontano gli astronauti che lavoreranno sulla Stazione Spaziale Internazionale potranno guardare il cosmo (e la Terra) affacciati ad una enorme vetrata. Quella vetrata, proprio come in Guerre Stellari, sarà ricurva, a forma di cupola. Per realizzare quel pezzo unico, vero capolavoro di ingegneria aerospaziale, la Nasa ha chiesto aiuto alla tecnologia e alla creatività italiana. La nuova cupola è infatti frutto del lavoro della Thales Alenia Space, la joint venture nata dalla Finmeccanica e dalla Thales Sa francese, ed è stata realizzata a Torino. A progettare quella cupola ci avevano provato anche gli ingegneri americani della Boeing, e un gruppo di ingegneri tedeschi che avevano a loro volta presentato un loro progetto all'Agenzia Spaziale Europea (ESA). Ma, alla fine, sono stati gli ingegneri italiani a realizzarla: in un officina di Torino hanno 'estratto' la curva cornice tridimensionale di questa enorme finestra da un unico blocco di alluminio. Quello 'l'infisso della cupola di vetro che farà da 'finestra' e da 'soffitto' alla Stazione Spaziale Internazionale. Il Wall Street Journal dedica oggi un servizio in prima pagina a questa "impresa tecnologica", definendo il progetto italiano degno di un Michelangelo dei tempi moderni in quanto a creatività e capacità realizzative.

domenica 30 novembre 2008

La nascita dei bambini non dipende dalla luna



Salute e medicina
La nascita dei bimbi non dipende dalla Luna
Salute e medicina
Inserito da scienzetv il Gio, 27/11/2008 - 12:29





BERLINO, Germania -- E' vero: quando si attende l'arrivo di un bambino, si ricorre davvero a tutto per scoprire quando sarà il momento fatidico. La tradizione popolare racconta che uno dei metodi più affidabili per le previsioni sia quello di guardare le fasi lunari. Ovvero, le nascite sarebbero favorite dalla Luna piena. Ebbene, non è vero.
Lo ha dimostrato un ricercatore tedesco, Oliver Kuss. Lo scienziato dell'Università di Halle ha realizzato il più grande studio per volume di dati a livello mondiale. Kuss ha raccolto informazioni su 4 milioni di nascite tra il 1966 e il 2003 e le ha analizzate alla luce delle fasi lunari. Il risultato è stato pubblicato oggi sul quotidiano Die Welt. Ebbene, secondo lo studio durante le fasi di Luna piena non si registra alcuna concentrazione delle nascite. Dunque, il detto popolare che la cicogna vola con la luna piena è del tutto irrealistico. Tuttavia ora la fantasia popolare può ricamare su altre scoperte dello studioso tedesco. Sì perché, a quanto pare, la maggior parte dei bebè teutonici è nata lunedì o martedì. Ma vuoi mettere il fascino della Luna...

venerdì 21 novembre 2008

Nasa e Google mettono in rete lo spazio


Nasa e Google mettono in rete lo spazio
Inserito da scienzetv il Ven, 21/11/2008 - 12:17

HOUSTON, Usa -- Dallo Shuttle potranno vedere i dati delle sonde su Marte. Dalla stazione spaziale internazionale in orbita, comunicare direttamente con le navette in arrivo o inviare immagini a una stazione spaziale sulla Luna. Il progetto è ambizioso: far comunicare fra loro stazioni spaziali, astronavi, navicelle e sonde sui pianeti.
Insomma, creare una sorta di internet dello spazio dove non serva più l'intervento di un centro di controllo posizionato sulla Terra come avviene oggi. E' questa l'idea che sta alla base del "Disruption Tolerant networking", ideato dalla Nasa e da Google.
L'esperimento ha già avuto un primo esito positivo. Nelle scorse settimana le immagini di Marte e del suo satellite Phobos sono state spedite alla sonda Epoxi, che si trova in viaggio verso la cometa Hartley-2, a 32 milioni di chilometri dalla Terra. Da qui sono tornate indietro senza difficoltà in maniera automatica grazie ad un nuovo protocollo chiamato Disruption – o Delay – Tolerant Networking (DTN). Il Dtn tiene quelle informazioni in "ghiacciaia" fino a quado il ricevente non è pronto a riceverle, e quindi le invia (o "inoltra" per usare il linguaggio ormai comune della posta elettronica). Per sviluppare questo nuovo software il centro JPL della Nasa e Google hanno lavorato insieme per dieci anni. I nodi sperimentati ora sono stati dieci: oltre alla sonda in viaggio ce n'erano altri nove erano simulati a terra. Il test è durato un mese. Fino ad oggi il sistema di comunicazione spaziale era tutto, diciamo così, "manuale". Nel senso che l'operatore del centro di controllo inviava una comunicazione e attendeva risposta. Niente di automatico. Ma, con un numero sempre maggiore di veicoli spaziali in orbita e con l'ipotesi di costruire basi spaziali su Luna e Marte, il sistema era destinato a non reggere. Da qui la necessità di disporre di un sistema più flessibile e che consenta comunicazioni varie contemporaneamente.

giovedì 20 novembre 2008

Quando l'anima dimorava nella lapide



Archeologia
Età del ferro nel Vicino Oriente
Quando l'anima dimorava nella lapide




Una stele con testo e immagini rinvenuta in condizioni quasi perfette prova che le antiche popolazioni del luogo ritenevano che l'anima del defunto abitasse nella suo monumento funebre

"Io, Kuttamuwa, servo Panamuwa, sono quello che ha provveduto in vita alla produzione di questa stele. L'ho posta nella camere eterna (?) e ho disposto un banchetto per [il dio della tempesta] Hadad, un montone per [il dio del Sole] Shamash, ... e un montone per la mia anima che è in questa stele." Questa incisione su una stele rinvenuta nelle regioni sud-orientali della Turchia, nel sito archeologico di Zincirli, dimostra che le popolazioni locali dell'età del ferro ritenevano che l'anima del defunto abitasse nella sua stele commemorativa. La scoperta è stata fatta da un gruppo di archeologi dell'
Università di Chicago diretti da David Schloen, che presenterà la "stele di Kuttamuwa" al convegno dell'American Schools of Oriental Research a Boston il 22 novembre prossimo.
"La stele è in condizioni quasi perfette. E' una combinazione unica di testo e immagini e ci fornisce un'importante sovrappiù di conoscenza dell'antico linguaggio e delle cultura della regione" ha detto Schloen.
Il sito di Zincirli - vicino all'antica città di Sam'al, al confine fra Anatolia e Siria - fu scavato per la prima volta nel corso degli anni novanta del XIX secolo da archeologi tedeschi, che vi rinvennero le mura di una città e diversi palazzi. Dato che su di esso non sono state costruite altre città, appena sotto la superficie si trova materiale dell'età del ferro eccellente, in buona parte ora conservato dei musei di Berlino e di Istanbul.
La stele è stata scoperte l'estate scorsa in un piccolo ambiente che era stato convertito in cella mortuaria per un ufficiale reale che si descrive nell'iscrizione come "servo" del re Panamuwa dell'VIII secolo a.C. E' stata trovata in prossimità delle mura della città in un'area residenziale, forse proprio la casa di Kuttamuwa, alquanto distante dal palazzo reale dove in precedenza erano state rinvenute diverse iscrizioni.
Secondo Schloen, la stele dimostra chiaramente che la cultura dell'età del ferro di Sam'al aveva ereditato trazioni culturali semitiche e non semitiche. Kuttamuwa e Panamuwa, sono infatti nomi non semitici, che riflettono le migrazioni nella regione delle popolazioni che parlavano lingue indoeuropee, avvenute in epoca hittita. Nell'VIII secolo a.C., queste popolazioni parlavano però un dialetto semitico occidentale e si erano completamente integrate nella cultura locale. L'iscrizione di Kuttumuwa, osservano i ricercatori, mostra un affascinante rimescolamento di elementi culturali semitici e non semitici, fra cui la credenza in un'anima persistente, che non abitava nella salma del defunto, come nel tradizionale pensiero semitico, ma nella lapide commemorativa, probabilmente perché i resti venivano cremati, pratica accuratamente evitata nelle culture semitiche.
Il testo è redatto in una scrittura derivata dall'antico fenicio in un dialetto semitico simile ad aramaico ed ebraico ed è di grande interesse sia per i linguisti sia per i biblisti e gli storici della religione in quanto proviene da un regno contemporaneo all'antico regno di Israele che con quest'ultimo aveva molti punti di contatto linguistici e culturali.
La scoperta getta una nuova sorprendente luce sulle credenze della vita ultraterrena nell'Età del ferro, e in particolare sulla credenza che l'identità, "l'anima", del defunto, permanesse abitando all'interno del monumento su cui era stata tracciata la sua immagine, come sottolinea la frase finale dell'incisione. (gg)
***

mercoledì 19 novembre 2008

Tempi geologici per la biochimica senza enzimi



Biologia
Sui “Proceedings of the National Academy of Science”
Tempi geologici per la biochimica senza enzimi



La conoscenza di questi dati permette di apprezzare l’evoluzione dei catalizzatori delle reazioni biochimiche e un confronto con i catalizzatori di sintesi

Tutte le reazioni biologiche all’interno delle cellule dipendono dagli enzimi: la loro azione permette a tali processi di svolgersi nell’arco di alcuni millisecondi.Ma quanto lentamente procederebbero le reazioni spontaneamente, cioè in assenza di enzimi: minuti, ore o giorni? E quale importanza scientifica ha tale questione? A occuparsene da alcuni anni è Richard Wolfenden, docente di biochimica e biofisica dell’
Università della North Carolina a Chapel Hill. Nel 1995, Wolfenden ha trovato che senza un particolare enzima, una reazione biologica assolutamente essenziale per costruire DNA ed RNA impiegherebbe circa 78 milioni di anni.
"Ora abbiamo trovato una reazione che, in assenza di enzimi, è circa 30 volte più lenta di quella”, ha spiegato Wolfenden. "Il suo tempo di dimezzamento, cioè il tempo che impiega la metà dei reagenti per essere consumata, è di 2,3 miliardi di anni, circa metà dell’età della Terra; gli enzimi fanno sì che la reazione si svolga nell’ordine di alcuni millisecondi.”
Secondo quanto riporta la rivista “Proceedings of the National Academy of Science”, che pubblica un resoconto dello studio, la reazione in questione è essenziale per la biosintesi dell’emoglobina e della clorofilla.
L’enzima che la catalizza, l’uroporfirinogeno decarbossilasi, è perciò fondamentale sia per la vita vegetale sia per quella animale: il tasso di produzione di clorofilla ed emoglobina nelle cellule “viene aumentato di un fattore enorme, equivalente alla differenza tra il diametro di una cellula batterica e la distanza tra il Sole e la Terra”.
La conoscenza di questi dati permette ai biologi di apprezzare l’evoluzione dei catalizzatori delle reazioni biochimiche e consente anche un confronto con i catalizzatori chimici sintetizzati in laboratorio. “Inoltre, gli enzimi che raggiungono una così alta efficienza come catalizzatori rappresentano anche alcuni fra i più sensibili bersagli per lo sviluppo di farmaci”, ha concluso il ricercatore. (fc)

sabato 15 novembre 2008

Hubble fotografa un pianeta extrasolare



Inserito da scienzetv il Ven, 14/11/2008 - 12:48

BERKELEY, Usa -- Il telescopio spaziale Hubble ha fatto un'altra scoperta clamorosa. Ha fotografato per la prima volta ad altissima risoluzione un pianeta extrasolare. L'immagine destinata a entrare nella storia è quella del pianeta «Fomalhaut b» in orbita attorno alla stella Fomalhaut nella costellazione del «Pesce australe».
Si tratta di un astro piuttosto vicino alla Terra (25 anni luce) e molto giovane: soli duecento milioni di anni. La sua brillantezza è 16 volte più alta del Sole. A individuarlo per primo era stato il satellite Iras che negli anni Ottanta aveva registrato nell’infrarosso la presenza di materiale nel circondario della stella. Non si trattava di polvere cosmica, sostenevano gli astronomi. Nel 2001 sei scienziati puntano Hubble nella direzione di Fomalhaut per cercare di vederci chiaro. Fanno centinaia di riprese. Poi nel 2004 e nel 2006 spuntano due fotografie che indicano un puntino giallo: era il pianeta che cercavano. Finora, con varie tecniche, sono stati trovati nello spazio circa 300 pianeti extrasolari. Ma nessuno è mai stato visto da vicino. La loro presenza veniva certificata solo indirettamente, attraverso le anomalie nel comportamento della stella madre o per un indebolimento della sua luminosità. E invece stavolta la fortuna e l’occhio di Hubble hanno avvistato il profilo planetario nel disco di polveri e corpi ghiacciati che circonda la stella madre. Si tratta di «Fomalhaut b», un pianeta gassoso e caldo simile a Giove, tre volte più grande e probabilmente con anelli come Saturno. Per compiere un giro intorno al suo astro, Formalhaut impiega 872 anni terrestri. A scoprirlo sono stati gli scienziati dell'Università della California, a Berkeley.

venerdì 14 novembre 2008

Per dormire meglio profumo di rose


Scienze della mente
Per dormire meglio profumo di rose
Inserito da scienzetv il Lun, 27/10/2008 - 12:31

CHICAGO, Usa -- I bei sogni sono favoriti se, prima di andare a dormire, mettete nella stanza fragranze profumate di rosa. Non è la nuova campagna pubblicitaria di un profumo, ma il risultato di uno studio scientifico presentato ieri alla conferenza dell'Accademia americano di otorinolaringoiatria di Chicago.
Inserisci da qui il corpo della notizia. La ricerca è stata realizzata dagli scienziati dell'Università di Mannheim, in Germania. Secondo gli studiosi è il filo diretto che lega il naso al cervello a determinare l'immaginario durante il sonno. Gli esperimenti del medico tedesco Boris Stuck hanno dimostrato che "il colore emotivo" dei sogni, cioè la loro piacevolezza, è influenzato dall'odore dell'ambiente. Lo scienziato ha analizzato i comportamenti di 15 donne. Ebbene, addormentate in una stanza imbevuta di fragranza di rosa, al loro risveglio dalla fase Rem del sonno (quella in cui si presentano i sogni), le donne hanno spesso riferito scene gradevoli. Al contrario, ripetendo l'esperimento con un odore di uova marce, il "colore emotivo" dei sogni ha virato verso l'angoscia. Certo, il campione di persone preso in analisi era numericamente limitato. Però dall'esperimento potrebbero venire gli spunti per altri interessanti approfondimenti di neurologia e psicanalisi. Il collegamento fra odori ed emozioni, d'altronde, è già stato ampiamente documentato. Così come non c'è dubbio che gli odori - che altro non sono che stimoli esterni al cervello attraverso al percezioni olfattiva - abbiano il potere di influenzare il contenuto dei sogni. Artin Arshamian, psicologo dell'università di Stoccolma, lo scorso anno ha pubblicato uno studio sui "sognatori di odori". In cui sostiene che, come nel sonno ci sono persone che vedono solo scene in bianco e nero, ci sono altri che arricchiscono i sogni con odori e chi invece si usa altri sensi. Un'ipotesi presa al balzo dalle aziende di profumi. Nel 2004, la giapponese Takara cercò di sfruttare le scoperte sulle relazioni fra sensi e sonno e lancio provò la "Fabbrica dei sogni", uno strumentino che univa dolci melodie, luci soffuse e fragranze di fiori, promettendo sonni meravigliosi. Mentre, ormai in quasi tutti i centri benessere, esistono ambienti esclusivamente dedicati all'aromaterapia un rilassante trattamento a base di essenze naturali.

giovedì 13 novembre 2008

L'impaccio delle zampe


Biologia
Andirivieni evolutivi
L'impaccio delle zampe



Una delle specie di Lerista ha perso completamente le zampe, adattandosi a un ambiente sabbioso, in meno di 3,6 milioni di anni
Una piccola lucertola, Lerista, ha più volte cambiato significativamente la forma del proprio corpo nell'arco di tempi evolutivamente molto brevi. Lo hanno dimostrato ricercatori dell'
Università di Adelaide, in Australia, che illustrano i risultati del loro studio in un articolo pubblicato sulla rivista online ad accesso pubblico BMC Evolutionary Biology.
Le lucertole australiane del genere Lerista rappresentano un modello particolarmente appropriato per lo studio della riduzione degli arti nelle lucertole e nei serpenti, dato che fra le 75 specie che lo compongono esiste una varietà di configurazioni degli arti assai elevata, andando da specie dotate di arti cinque dita fino a specie completamente prive di arti.
"Si ritiene che queste lucertole abbiano perso gli arti perché passano gran parte della loro vita 'nuotando' sulla sabbia, dove le zampe non sono non sono necessarie, ma a volte rappresentando addirittura un ostacolo", ha osservato Adam Skinner, che ha coordinato lo studio.
La cosa che più ha colpito Skinner e colleghi, che per studiare lo schema e la velocità di questa riduzione degli arti hanno eseguito un'ampia analisi genetica di questo genere di lucertole, è stata la scoperta - resa possibile anche dall'utilizzo di modelli al computer che simulavano i possibili percorsi evolutivi - del fatto che l'evoluzione di un corpo simile a quello dei serpenti non solo è avvenuto indipendentemente più volte, ma che questo processo si è svolto sempre in tempi relativamente brevi: "La velocità massima per la perdita completa delle zampe si è avuta nell'arco di soli 3,6 milioni di anni", ha osservato Skinner, sottolineando come si tratti di una rapidità eccezionale per un cambiamento evolutivo così significativo. (gg)

mercoledì 12 novembre 2008

Screening per persone a rischio di ictus



Sulla rivista “Nature Genetics”
Il rischio genetico dell'aneurisma risultati potrebbero portare a nuovi test di screening per identificare centinaia di migliaia di persone a rischio di ictus e all’individuazione di nuove strategie terapeutiche


Un gruppo di ricerca della Yale University ha compiuto il primo e cruciale passo per svelare il mistero degli aneurismi cerebrali, le rotture dei vasi sanguigni che colpiscono ogni anno circa 500.000 persone nel mondo.
Murat Gunel, docente di neurochirurgia e neurobiologia, insieme con i colleghi dell’
Howard Hughes Medical Institute, ha compiuto una scansione del genoma di più di 2000 soggetti affetti da aneurisma intracranico e di 8000 soggetti sani.
Sono così stati scoperti tre loci cromosomici le cui mutazioni genetiche aumentano in modo significativo il rischio di tale patologia. I soggetti sono stati reclutati da diversi ospedali in Finlandia, Paesi Bassi e Giappone, e i risultati sono stati assai simili in tutti i gruppi indicando che tale correlazione non varia al variare delle diverse popolazioni genetiche.Le conclusioni dello studio, ora pubblicato sull’ultimo numero di “Nature Genetics”, potrebbero portare a nuovi test di screening per identificare centinaia di migliaia di persone a rischio di ictus e all’individuazione di nuove strategie terapeutiche.L’età mediana dell’ictus emorragico è di circa 50 anni, e di solito non è preceduto da sintomi che possono mettere in all’erta sul rischio di questi pericolosi eventi emorragici.
Senza una comprensione delle cause di tali eventi, l’unico intervento medico può essere effettuato solo dopo che il danno a carico dei tessuti cerebrali è già avvenuto. "Questi risultati gettano una luce sui meccanismi genetici e biochimici che causano questa devastante patologia cerebrale: in particolare, i risultati riguardano le mutazioni a carico del gene SOX17, noto per avere un ruolo cruciale nello sviluppo e nei processi riparativi delle cellule endoteliali che costituiscono le pareti dei vasi sanguigni", ha concluso Gunel. "Tali mutazioni possono interferire con la capacità di produrre cellule in grado di riparare il danno ai tessuti: ciò suggerisce un possibile bersaglio per nuove strategie di prevenzione". (fc)

venerdì 7 novembre 2008

La Cnn sperimenta l'ologramma in TV


La Cnn sperimenta l'ologramma in tv
Hi-Tech
Inserito da scienzetv il Mer, 05/11/2008 - 17:23

ATLANTA, Usa -- Per la prima volta nella storia della televisione, sugli schermi è apparso un ologramma tridimensionale vero e proprio. Lo ha sperimentato la Cnn durante la notte elettorale, nel suo studio televisivo.


Per riuscire nell'impresa sono state utilizzate qualcosa come 35 telecamere. Grazie alle moderne tecniche di ripresa dello studio centrale di New York la reporter Jessica Yellin che si trovava a Chicago è stata trasposrtata in studio e proiettata davanti al conduttore delle trasmissione elettorale. Per realizzare questo prodigio tecnologico in diretta tv, dicevamo, sono state impiegato un numero mai visto di telecamere che riprendevano la giornalista da ogni angolazione per poi riprodurre nello studio a duecento chilometri di distanza la sua immagine in un ologramma tridimensionale. Il conduttore Wolf Blitzer ha conversato faccia a faccia per qualche minuto con la corrispondente virtuale da Chicago: «Sei un fantastico ologramma», ha esordito l'anchorman. Il sottopancia del servizio recitava: «Jessica Yellin via ologramma da Chicago. Live». «Sembro Leila, la principessa di Guerre Stellari», ha invece scherzato la giornalista.

giovedì 6 novembre 2008

Un gene per i disordini del linguaggio




Biologia
Sul New England Journal of Medicine


Produce la proteina neurexina, presente sulla superficie dei neuroni, che controlla le interazioni e il "cablaggio" fra le differenti cellule durante lo sviluppo


E' stato identificato il primo gene associato al disordine specifico del linguaggio, (DSL): si tratta del gene CNTNAP2, che di recente è stato messo in relazione anche all'autismo e che potrebbe rappresentare un legame genetico chiave fra i due disturbi.
"Da tempo si sospettava che fattori ereditari avessero un ruolo importante nei disturbi del linguaggio infantili. Ma questa è la prima volta che siamo stati in grado di provare il coinvolgimento di varianti di uno specifico gene" ha osservato Simon Fisher, del
Wellcome Trust Centre for Human Genetics dell'Università di Oxford, che firma con i collaboratori un articolo in merito sul New England Journal of Medicine.
La ricerca era in realtà partita dallo studio di un altro gene correlato al linguaggio, FOXP2, che precedenti lavori avevano mostrato essere in relazione a rari casi di gravi disturbi del linguaggio e della fonazione. Versioni di FOXP2 sono presenti in svariati animali: negli uccelli sono legate al canto, mentre nel topo all'apprendimento di sequenze di movimenti e nel pipistrello alla ecolocalizzazione. FOXP2 modula altri geni fra i quali, come hanno scoperto Fisher e colleghi, proprio CNTNAP2.
Studiando 184 famiglie in cui ricorreva il disturbo specifico del linguaggio hanno così scoperto che i bambini portatori di alcune varianti di quel gene manifestavano ridotte abilità di linguaggio, in particolare con l'insistente ripetizione di parole prive di senso.
Non è ancora chiaro come CNTNAP2 interferisca con lo sviluppo del linguaggio, ma il gene produce una proteina chiamata neurexina che si trova sulla superficie dei neuroni e controlla le interazioni fra le differenti cellule durante lo sviluppo e il loro "cablaggio". Nelle prime fasi dello sviluppo la proteina è fortemente espressa in aree cerebrali che successivamente diventeranno importanti per l'elaborazione del linguaggio, come i lobi frontali.
I ricercatori ora intendono studiare come le diverse variazioni di CNTNAP2 contribuiscano alle variazioni naturali nelle capacità linguistiche nella popolazione generale. (gg)

mercoledì 5 novembre 2008

Hubble è di nuovo al lavoro




Hubble è di nuovo al lavoro
di Claudio Elidoro - Fonte: NASA/ESA



Due settimane fa il computer di bordo che sovrintende alle operazioni di Hubble era incappato in qualche misterioso errore e, come da protocollo, il telescopio spaziale era stato posto in modalità protetta. Ogni tentativo da terra per provare a riattivare il sistema sembrava inefficace e già c'era chi presagiva un'ingloriosa uscita di scena. Fortunatamente, però, i tecnici sono riusciti anche stavolta a rimediare all'intoppo e hanno nuovamente messo Hubble nelle condizioni di svolgere il suo prezioso lavoro.Per verificare la piena funzionalità del sistema, il 27 e 28 ottobre scorsi - appena un paio di giorni dopo la sua riattivazione - Hubble ha puntato la Wide Field Planetary Camera 2 (WFPC2) verso Arp 147, una coppia di galassie interagenti distanti 400 milioni di anni luce in direzione della costellazione della Balena e ha mostrato di essere ancora in grado di offrire i suoi fantastici standard di qualità. Prestazione ineccepibile per la strumentazione e immagine perfetta, dunque, con le due galassie (una vista di fronte e l'altra di taglio) che disegnano un bel 10 nell'immagine. Mettiamola così: è l'immagine stessa che assegna a Hubble il massimo dei voti.Al di là della soddisfazione per lo stupendo panorama galattico e, soprattutto, perché Hubble è nuovamente in servizio, l'immagine di Arp 147 ci offre alcuni spunti sulle conseguenze dell'interazione gravitazionale tra due galassie. L'evidente anello blu sede di una intensa produzione stellare che caratterizza la galassia a destra nell'immagine, infatti, è stato generato proprio a seguito dell'incontro tra le due galassie. Come un sasso lanciato in uno stagno, il passaggio della galassia di sinistra attraverso l'altra ha generato un'onda circolare in espansione, praticamente un fronte di densità più elevata che si allontanava dal punto di impatto. Non appena questo fronte di densità si è scontrato con il materiale circostante, richiamato verso l'interno dall'azione gravitazionale, si è innescata una intensa produzione di nuove stelle. Nell'immagine, inoltre, si può notare un grumo polveroso e rossiccio nella parte inferiore sinistra dell'anello. Gli astronomi ritengono che è lì che probabilmente si trovava il nucleo originario della galassia.Una doverosa precisazione conclusiva a proposito dei colori dell'immagine (senza dubbio ben nota a chi abitualmente si delizia con le immagini di Hubble). L'immagine è stata assemblata sovrapponendo le riprese compiute dalla WFPCT2 con tre differenti filtri. I colori blu, verde e rosso indicano le riprese effettuate rispettivamente nel blu, nello spettro visibile e nell'infrarosso.
Links - Collegamenti:http://www.spacetelescope.org/news/html/heic0820.html


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martedì 4 novembre 2008

Il dilemma di Corot






Il dilemma di COROT
di Claudio Elidoro - Fonte: ESA




Da tempo la scoperta di nuovi pianeti extrasolari non fa più notizia o quasi, ma questo nuovo pianeta scovato dal satellite gestito dall'Agenzia spaziale francese e dall'ESA (con contributi specifici anche di Austria, Belgio, Germania, Spagna e Brasile) non poteva certo farla franca.COROT-exo-3b, questo il nome del pianeta, ha più o meno le dimensioni di Giove e orbita intorno a una stella appena più grande del nostro Sole, impiegando per ogni suo giro solamente 4 giorni e 6 ore. Fin qui, tutto sommato, nulla di strano. Non è certo una novità scoprire oggetti talmente appiccicati alla loro stella che per orbitarle intorno ci mettono una settimana o giù di lì. A volte questi oggetti si sono poi rivelati essere nane brune, vale a dire stelle che non sono riuscite a sbocciate perchè non hanno potuto innescare un ciclo stabile di reazioni nucleari.Finora la collocazione in una delle due categorie convenzionali di pianeta o nana bruna non aveva mai dato grossi problemi. E' vero, non è proprio così chiaro l'intervallo di massa per il quale si possa parlare di nana bruna, ma è altrettanto vero che i casi incontrati dagli astronomi non rendevano così problematica la classificazione. Stabilire che un oggetto con massa pari a 12 volte quella di Giove potesse essere considerato un pianeta non creava particolari problemi, come pure affermare che un oggetto di 70 masse gioviane appartenesse alla categoria delle nane brune.La particolarità che rende COROT-exo-3b davvero unico è che, stando ai comunicati stampa, la sua massa è pari a 20 volte quella di Giove. Questo comporta un paio di conseguenze piuttosto importanti. Anzitutto che siamo probabilmente in presenza del primo esemplare di una possibile classe intermedia tra pianeti e nane brune e che forse saremo obbligati a ripensare l'attuale classificazione. Ma comporta anche - sempre se la massa e le dimensioni annunciate nel comunicato stampa sono proprio quelle corrette e determinate grazie al concorso di un gran numero di osservazioni compiute anche dalla superficie terrestre - che ci si chieda seriamente di che materiali possa essere fatto un simile esotico oggetto caratterizzato da una densità così elevata. O perlomeno che strana struttura si possa nascondere al suo interno.
Links - Collegamenti:http://www.esa.int/esaCP/SEM0GG9FTLF_index_0.html

domenica 2 novembre 2008

La vera isola di Robinson Crusoe


Ecco la vera isola di Robinson Crusoe
Inserito da scienzetv il Ven, 31/10/2008 - 15:56

JUAN FERNANDEZ, Cile -- Il vero Robinson Crusoe naufragò al largo del Cile nell'isola vulcanica di Más a Tierra. Ora ne abbiamo le prove. Il marinaio scozzese Aexander Selkirk, che ispirò Defoe nella scirttura del romanzo del celebre naufrago, lasciò infatti qui alcuni oggetti, che oggi sono stati ritrovati sull'isola appartenente all'arcipelago delle Juan Fernández.
L'arcipelago delle Juan Fernández si trova al largo della costa cilena, ed è di origine vulcanica. Su una delle sue isole nel 1704 naufragò il marinaio scozzese dalla cui storia prese ispirazione Daniel Defoe per la scrittura del suo celebre romanzo Robinson Crusoe, o "Vita e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe", come recita il titolo originale. L'isola su cui approdò Selkirk fu precisamente quella di Más a Tierra, ribattezzata poi Isola di Robinson Crusoe, e oggi gli archeologi ne hanno trovato le prove. La notizia è riferita dalla rivista Post-Medieval Archaeology, che spiega che studi recenti hanno portato alla scoperta di segni della presenza di un uomo occidentale nella parte dell'isola chiamata Agua Buena. Secondo Science Daily, fra le prove più schiaccianti ci sarebbe una coppia di compassi nautici, di cui avrebbe parlato anche il capitano Woodes Rogers, responsabile del salvataggio di Selkirk nel 1709. Attraverso gli scavi inoltre, gli studiosi hanno ricostruito l'insediamento del naufrago: il vero Crusoe sarebbe sopravvissuto sull'isola riparandosi in due accampamenti situati nei pressi di un ruscello. Da qui il marinaio poteva scrutare costantemente la spiaggia e il mare, da qui dopo 4 anni di solitudine vide probabilmente la nave che l'avrebbe riportato a casa.

Valentina d'Angella

Alla ricerca di antimateria



Astronomia e cosmologia
Asimmetrie cosmiche



Alla ricerca di antimateria nell'Ammasso del Proiettile.
Il cluster emette radiazione X ma non radiazione gamma: è un segno che non avvengono processi di annichilazione particella-antiparticella
La rivelazione dell’antimateria potrebbe essere ancora più difficoltosa di quanto previsto finora, almeno stando ai risultati di uno studio basato sui dati raccolti dai telescopi spaziali
Chandra X-ray Observatory e Compton Gamma Ray Observatory della NASA.La radiazione emessa dall’Ammasso del Proiettile dai due strumenti sembra escludere che in esso siano in atto processi di annichilazione e quindi che sia presente antimateria."Se materia è antimateria sono esistite a breve distanza l’uno dall’altra prima dell’Inflazione, ora dovrebbero essere separate da una distanza maggiore della scala dell’universo osservabile, è per questo motivo non potremmo mai essere in grado di vederla," ha commentato Gary Steigman dell’Ohio State University, che ha coordinato lo studio. Ma potrebbero essere separate su scale più piccole come quella dei supercluster e dei cluster”.In questo caso, Le collisione tra due cluster di galassie, le più grandi strutture legate gravitazionalmente nell’universo, potrebbero mostrare le prove della presenza di antimateria. Le emissioni di raggi X mostrano quanto gas ad alta temperatura è coinvolto in tale collisione: se parte del gas di entrambi gli ammassi contiene particelle di antimateria, allora si dovrebbe verificare il fenomeno di annichilazione, e tale radiazione dovrebbe essere accompagnata da raggi gamma.Steigman ha utilizzato i dati ottenuti con i telescopi Chandra e Compton per studiare il cosiddetto Ammasso del Proiettile, e in cui due grandi cluster di galassie si sono fusi in una solo a velocità estremamente alte. Essendo a distanza relativamente piccola dalla Terra e avendo una orientazione sufficientemente trasversale rispetto alla direzione di osservazione, l’Ammasso del Proiettile fornisce un eccellente sistema per testare il segnale dell’antimateria."Si tratta della più ampia scala sulla quale sia mai stato fatto un test di questo genere”, ha commentato Steigman, che firma un articolo in proposito sulla rivista”Journal of Cosmology and Astroparticle Physics”. "Stiamo cercando di verificare se possano esistere ammassi di galassie costituiti da enormi quantità di antimateria.”La quantità di radiazione X osservata grazie a Chandra e la mancata rivelazione di radiazione gamma da parte di Compton sembra mostrare che la frazione di antimateria nel Bullet Cluster è meno di tre parti per milione. In particolare, le simulazioni della fusione del Bullet Cluster mostrano che questi risultati escludono la presenza di quantità significative di antimateria su scale di circa 65 milioni di anni luce, una stima della originale separazione dei due ammassi in collisione. (fc)

giovedì 30 ottobre 2008

Gemme di opale scintillano su Marte


La loro presenza attesta la lunga presenza di acqua
Gemme di opale scintillano su Marte




Minerali della pietra preziosa trovati in abbondanza in un canyon nell'equatore del pianeta

Il satellite che ha individuato l'opale su Marte
ROMA - L’opale, una delle gemme più raffinate e seducenti, è stata trovata in abbondanza nei terreni, oggi apparentante aridi, di Marte. La notizia sarebbe solo una curiosità se non avesse un più profondo significato geologico: la conferma che un ambiente ricco di acqua caratterizzò la storia del pianeta nostro vicino di casa per un periodo più lungo di quanto finora stimato. Motivo di più per sperare che Marte aveva le carte in regola per l’insorgere e il diffondersi della vita. La scintillante scoperta, alla lettera, è stata fatta da lontano: dall’alto di un’orbita marziana attorno a cui ruota Mars Reconnaissance Orbiter (MRO), una navicella spaziale americana dotata di uno strumento chiamato spettrometro che è in grado di riconoscere la composizione dei minerali sparsi nei terreni analizzando la loro luce riflessa. L’opale è stata localizzata in diverse aree di quell’immenso canyon chiamato Valles Marineris che si snoda in corrispondenza dell’equatore marziano.


FIUMI - La scoperta costituirebbe una prova indiretta che un tempo quelle zone, formate da rocce di natura vulcanica, erano percorse da fiumi d’acqua che ristagnarono a lungo, dando così la possibilità alle rocce ignee di idratarsi, formando minerali come l’opale. «Per noi si tratta di una scoperta eccitante perché estende il tempo di presenza di abbondante acqua sul pianeta di un miliardo di anni, in un luogo di Marte che poteva essere adatto a sostenere la vita, almeno a livello elementare», riferisce con soddisfazione Scott Murchie, fisico della John Hopkins University del Maryland e responsabile della missione MRO. I risultati della scoperta, annuncia lo scienziato, saranno pubblicato sul numero di novembre della rivista scientifica internazionale «Geology». Ora i cacciatori di vita marziana hanno un indizio in più per programmare esplorazioni automatiche per mezzo di robot nelle zone in cui si evidenziano i giacimenti di opale, nella speranza di trovare almeno i resti fossili di organismi elementari vissuti nell’infanzia del pianeta, prima che la maggior parte dell’acqua evaporasse misteriosamente, riducendo Marte a un mondo arido e freddo. Costituita da una miscela di silicati e di acqua, l’opale, è caratteristica per il suo aspetto lattiginoso, arricchito da striature variopinte. Gli storici inglesi dicono che fosse la gemma preferita dalla Regina Vittoria, che ne indossava sempre una, o pendente al collo, o incastonata su spille e anelli. Peccato che gli organismi marziani non si siano evoluti a tal punto da poter utilizzare quella che c’è in abbondanza nel loro sfortunato pianeta!
Franco Foresta Martin

lunedì 27 ottobre 2008

Trovate 17 nuove specie di nella foresta


Trovate 17 nuove specie nella foresta
Piante e Animali
Inserito da scienzetv il Mer, 22/10/2008 - 10:41


DAR ES SALAAM, Tanzania -- Ha deciso di effettuare le sue ricerche in uno dei luoghi più inospitali e meno esplorati della Terra: i Monti Nguru, in Tanzania, coperti dalla foresta pluviale e spesso avvolti da una nebbia sinistra. Qui un ricercatore del Museo tridententino di scienze naturali ha scoperto qualcosa come 17 nuove specie di rettili e anfibi.
Si tratta di una scoperta scientifica straordinaria avvenuta in uno dei luoghi meno esplorati del pianeta. Le Nguru Mountains sono la prima parte di una vasta catena montuosa che continua attraverso Ussagara e Uhehe e si estende fino a Nyassa. Alcune delle montagna qui raggiungono i 2100 metri di quota. Ed è proprio da queste che scende il principale corso d'acqua della zona, il Wami river.
Nelle foresta pluviale, il ricercatore ha trovato rane, rospi, serpenti e camaleonti finora mai osservati da occhio umano. Le ricerche di Menegon sono durate oltre due mesi e hanno permesso la catalogazione di un totale di 97 specie, di cui 17 appunto sconosciute. I ritrovamenti sono avvenuti sulle montagne fra i 700 e i 2000 metri di quota, in un'area di 180 chilometri quadrati di foresta montana, minacciata d'estinzione dalle coltivazioni delle popolazioni che vivono ai suoi margini. Nelle sue spedizioni Menegon, che è un erpetologo (ovvero esperto di rettili e anfibi), era accompagnato da altri 4 ricercatori. Ma solo lui utilizzava la notte per cercare le sue creature. Armato di torcia, s'inoltrava nella foresta fra mille rumori alcuni dei quali apparentemente ostili: come quello di un leopardo incontrato nella fitta boscaglia.Ma la passione per i suoi rettili e l'emozione di essere il primo uomo a vedere un essere vivente finora sconosciuto è stata più forte di tutto. Sembra un po' gli esploratori di un tempo questo ricercatore, intento a studiare nuove specie, dar loro un nome e poi con orgoglio presentarlo alla comunità scientifica. Come quell'incredibile rana che Menegon ha trovato nascosta nella foresta pluviale, durante una notte. Una rana del genere Callulina, ma con occhi arancioni, un colore mai visto prima e una pelle che produce riflessi metallici.

sabato 25 ottobre 2008

MAGIC fa sul serio



Distante seimila anni luce c’è una stella che emette pulsazioni di energia gamma da record. E’ la pulsar della Nebulosa del Granchio, una stella di neutroni in rapida rotazione su sé stessa, circa 30 volte al secondo. Pur avendo un diametro di appena 10 chilometri, poco più della metà di Roma all’interno del raccordo anulare, emette pulsazioni di radiazione ad altissima energia a un valore, ed è notizia di pochi giorni fa, molto maggiore di quanto si credesse.

La scoperta è stata effettuata attraverso MAGIC, il telescopio europeo sull’isola de La Palma alle Canarie costruito e gestito da numerose nazioni tra le quali Italia, Spagna e Germania. Marco Salvati responsabile italiano di MAGIC per conto dell’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica ci ha detto di più sul futuro prossimo del telescopio:“Il telescopio MAGIC, che è già il più grande specchio esistente per scopi astronomici nel mondo, avrà un gemello, uno specchio ugualmente grande posto a 80-90 metri dal primo. Questi due strumenti insieme avranno una vista stereoscopica, come due occhi invece di uno solo, e serviranno per studiare raggi gamma di altissima energia, centinaia di miliardi di volte più energetici dei fotoni che compongono la luce visibile.”

MAGIC intende sorprenderci ancora e per farlo potrà contare anche sull’aiuto della nostra atmosfera:“La rilevazione di questi raggi gamma non sarà diretta ma indiretta perché i due telescopi raccolgono in maniera stereoscopica un lampo di luce azzurra prodotto dal raggio di altissima energia che noi vogliamo rilevare durante la sua interazione con l’atmosfera. L’atmosfera è parte dello strumento, tanto quanto i due telescopi. Se l’atmosfera non ci fosse il sistema non potrebbe funzionare.”
Luca Nobili

giovedì 23 ottobre 2008

Svelati i misteri del satellite Phobos



Svelati i misteri del satellite Phobos
Inserito da scienzetv il Gio, 23/10/2008 - 11:26
PARIGI, Francia -- Negli Anni Sessanta, l'astrofisico russo Iosif Shklovsky fece restare di stucco la comunità scientifica sostenendo che quello lassù fosse un satellite artificiale messo in orbita da civiltà marziane. Non solo. Arrivò persino ad azzardare che la sua superficie fosse fatta in metallo. Oggi invece le immagini registrate dal Mars Express hanno svelato il mistero di Phobos.
Stando alle foto e ai dati forniti dalla sonda dell'Esa (l'Agenzia spaziale europea), il secondo satellite di Marte non avrebbe nulla di alieno, ma sarebbe solo "un mucchio di ghiaia e sabbia". Bene, perchè Phobos (nome greco della paura) fin dalle antiche osservazioni ha mostrato ai terresti una faccia, diciamo, sinistra. O quantomeno anomala.
Piccolo, con un diametro di appena una ventina di chilometri, leggerissimo, il satellite ha un moto di rotazione frenetico. Gira stretto intorno a Marte in appena 7 ore e 39 minuti. Grazie alle immagini in tre dimensioni realizzate dal Mars Express, gli scienziati hanno potuto calcolare con precisione la massa e il volume dell’enigmatica luna di Marte. La densità media è risultata 1,85 grammi per centimetro cubo. Molto inferiore a quella della Luna che è di 3,5 grammi per centimetro cubo. Secondo i rilievi, Phobos ha una superficie di polvere spessa 100 metri. Con crateri di ogni dimensione, un po' come la Luna. Ma sotto non ci sarebbe alcun nucleo compatto, bensì aggregati di sassi tenuti insieme dalla forza di gravità e separati da cavità. Insomma, un mucchio di ghiaia come ce ne sono altri, sopratutto asteroidali. Gli scienziati li stanno catalogando per escluderli da esperimenti che ne potrebbero compromettere l'integrità e provocare dissolvimenti pericolosi per le sonde o la Terra stessa.

lunedì 20 ottobre 2008

Antartide: alla ricerca dei monti perduti


Antartide: alla ricerca dei monti perduti
Scienze della Terra
Inserito da scienzetv

BERNA, Svizzera -- Scavare tra i ghiacci dell'Antartide, alla ricerca di una catena montuosa inspiegabilmente sepolta dalla calotta glaciale. Sperando di leggere, nel ghiaccio più antico del mondo, la storia dei cambiamenti climatici della Terra.
E' in partenza la missione internazionale architettata dalla British Antarctic Survey che vedrà un team di scienziati e ingegneri di sei paesi diversi - Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Australia, Cina e Giappone - impegnarsi a svelare misteri irrisolti della storia del nostro pianeta.
Il gruppo lavorerà per due mesi e mezzo tra i ghiacci del Polo Sud, con temperature che scendono fino a 40 gradi sottozero, cercando di raggiungere le "Gamburtsev mountains": una catena di montagne grande come le Alpi francesi, sepolta sotto una coltre di ghiaccio spessa oltre 3 chilometri. Ad oggi, nessuno sa per quale motivo geologico questa catena montuosa si trovi ad essere sommersa sotto i ghiacci del polo. Una delle ipotesi è che le Gamburtsev mountains siano il luogo d'origine della vastissima calotta polare antartica, che oggi ricopre la maggior parte del continente. Scoprire la verità sulla loro origine è uno degli scopi principali di questa missione. L'altro, è quello di scovare là sotto del ghiaccio vecchio di 1,2 milioni di anni, che nel corso dei millenni dovrebbe aver registrato l'evoluzione dei cambiamenti climatici: una storia che potrebbe dare un aiuto fondamentale nell'interpretazione delle evoluzioni attuali e nella formulazione delle previsioni per il futuro.Aerei, trivelle glaciali, radar, sensori magnetici, gravimetri, sono solo alcuni degli strumenti a disposizione di questa squadra di scienziati intenzionati a trovare le risposte di fondamentali domande sulla storia del nostro pianeta."E' una sfida eccitante - ha detto il capospedizione Fausto Ferraccioli, geofisico della British Antarctic Survey -. Per oltre due mesi, scienziati provenienti da paesi diversi lavoreranno per realizzare l'impensabile: esplorare le viscere dell'Antartide orientale, una delle regioni più remote e sconosciute del pianeta. E' quasi come preparare una spedizione su Marte".
Sara Sottocornola

sabato 18 ottobre 2008

Lo spazio? Profuma di bistecca e metallo caldo




LO SPAZIO? PROFUMA DI BISTECCA E METALLO CALDO
LONDRA - Lo spazio fuori dall'atmosfera terrestre avrebbe un odore che ricorda quello di una bistecca in padella e del metallo riscaldato, o per l'esattezza ''l'odore che si sente quando si fa una saldatura su una moto'', secondo quanto ha riferito un astronauta: lo ha detto la Nasa, che ha chiesto a un'azienda britannica di ricreare in laboratorio quell'odore, cosi' da usarlo nell'addestramento di coloro che devono andare in missione nello spazio. Lo strano mix di officina e griglia e' stato riferito dagli astronauti che hanno compiuto passeggiate spaziali, che lo hanno avvertito al momento in cui si sono tolte le tute indossate per uscire nel vuoto. Secondo la stampa britannica, la Nasa ha quindi contattato Steven Pearce, chimico e direttore dell'azienda profumiera britannica Omega Ingredients, per chiedergli di mettere a punto un''eau de Cologne che si avvicini all' "odore dello spazio''. ''Abbiamo già prodotto l'odore della bistecca in padella - ha affermato Pearce parlando a una scuola di Manchester nell'ambito di un festival della scienza - Ma il metallo riscaldato e' molto più difficile. Crediamo che venga generato da una vibrazione ad alta energia nelle molecole, e su questo stiamo lavorando ora''. Pearce ha detto di sperare di aver pronto l'odore spaziale entro la fine dell'anno. Il contatto con la Nasa e' nato, curiosamente, da una mostra d'arte: ''Avevo lavorato per questo evento artistico a luglio, interamente basato sugli odori. E una delle mie creazioni era la riproduzione dell'odore dell'interno della navicella spaziale russa Mir. La Nasa ha sentito parlare di questa cosa e mi ha contatto chiedendomi se potevo collaborare con loro, ricreando un odore che possa servire ai loro astronauti''. La fragranza, per quanto non proprio inebriante, darebbe un certo ''realismo'' all'addestramento delle persone che vanno nello spazio, quando vengono immerse con indosso le tute in grandi serbatoi d'acqua per simulare la perdita di gravita'. Tuttavia, non sembra esserci assoluta unanimità sull'odore dello spazio: secondo la 'turista spaziale' Anousheh Ansari, l'imprenditrice iraniano-americana che nel 2006 e' andata sulla stazione spaziale internazionale al seguito di una missione Soyuz ''sembra la puzza di biscotti alle mandorle bruciati'', secondo quanto ha scritto lei stessa sul suo blog.

venerdì 17 ottobre 2008

Gigliola Cinquetti: una nostra coetanea VIP



Gigliola Cinquetti
20 dicembre 1947
Quando classe e raffinatezza non hanno età



Nata a Cerro Veronese il 20 dicembre 1947, Gigliola Cinquetti vince il Concorso di Voci Nuove di Castrocaro con due delicatissimi brani "Sull'acqua" e "Le strade di notte" di Giorgio Gaber, a soli 16 anni. Nel 1964 trionfa al XIV Festival di Sanremo con l'ormai celeberrimo brano che le resterà addosso per sempre: "Non ho l'età". Il 21 marzo a Copenaghen conquista con lo stesso brano, anche l'Eurofestival. L'anno successivo a Napoli (Canzonissima 1964), porta in finalissima ben due brani "Non ho l'età" che conquista il secondo posto e "Anema e core" (quarta). Nel 1966 in coppia con Domenico Modugno bissa il successo a Sanremo. Il brano è uno dei più belli interpretati da Gigliola "Dio, come ti amo". Al Disco per l'Estate 1967 ottiene un clamoroso successo, seconda con "La rosa nera". Con "Alle porte del sole" trionfa a Canzonissima 1973. All'Eurofestival, una vittoria sfuggita per 6 punti, è seconda con "Si" e a settembre vince la "Gondola d'oro" per aver venduto, nell'anno, il maggior numero di dischi con l'LP "Stasera ballo liscio". Dopo un'assenza di 12 anni ritorna a Sanremo nel 1985 e conquista il terzo posto con "Chiamalo amore". Le presenze al Festival saranno ben 12. Oltre alle già citate: "Ho bisogno di vederti" (1965) - "Sera" (di Roberto Vecchioni, 1968) - "La pioggia" (un successo mondiale, 1969) - "Romantico blues" (1970) - "Rose nel buio" (1971) - "Gira l'amore (Caro Bebè)" (1972) - "Mistero" (di Claudio Mattone, 1973) - "Ciao" (1989) - "Giovane vecchio cuore" (di Giorgio Faletti, 1995). Nel corso della sua carriera Gigliola Cinquetti ha partecipato alle più grandi manifestazioni musicali che dagli anni '60 si sono svolte in Italia. Oltre all'Eurofestival ed a Sanremo ricordiamo "Canzonissima", "Il Disco per l'Estate", la "Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia", il "Canteuropa", il "Festivalbar", "Premiatissima" e "Una Rotonda sul mare". Dal 1964 Gigliola Cinquetti è stata inoltre protagonista e primadonna di varietà televisivi di grande successo: "Jonny 7" (1964) , "Io, Gigliola" (1966), "Senza Rete" (nelle edizioni del 1969, 1972, 1974), "Arancia e limone" (1970), "Ma l'amore sì" (1970), "Vino, whisky e chewing gum" (1974), "Compagnia stabile della canzone" (1975), "L'amico della notte" (1977). Un grande ritorno nell'edizione 1982/83 di "Portobello" e il suo "Concerto a Verona" (1989 per festeggiare i 25 anni di carriera). Non molti sanno che Gigliola Cinquetti è anche autrice di molte canzoni, alcune delle quali ha anche inciso. E' il caso di "Un momento fa" e "Lasciarsi d'inverno" composte insieme al maestro Enrico Simonetti, "Gli sfrattati" e "Serenade pour deux amours" incisa e pubblicata solo per il mercato giapponese. Altri brani sono chiusi in un cassetto: si conoscono alcuni titoli di questi inediti "I cavalli della giostra" e "La superbia". Altro percorso artistico seguito da Gigliola è quello della conduzione di programmi televisivi. L'eleganza, lo stile e la classe hanno sempre contraddistinto questo suo ruolo fin dal primo programma pomeridiano del 1981 "Io sabato". Ha presentato più edizioni del "Concorso voci nuove di Castrocaro" nel corso dei quali ha "battezzato" personaggi come Eros Ramazzotti e Zucchero, per giungere alla grande conduzione dell'"Eufofestival" nel 1991. Da questo successo uno ancora più grande: "Festa di compleanno" per TMC, dall'ottobre del 1991 al marzo del 1992, "La festa della mamma" (1994), "C'era una volta il Festival di Napoli" e "Napoli prima e dopo" nel 1995 per giungere a "Vivendo Parlando" su SAT2000 (quattro edizioni dal 1998 al 2002) e a "Di che sogno sei" su RAISAT EXTRA (aprile/luglio 2004). Anche la radio ha dato a Gigliola grandi soddisfazioni, a cominciare da "Gran varietà", programma domenicale del 1967. Nel 1969 è la protagonista, assieme a Paolo Villaggio, di "La bella e la bestia" e nel 1970 di "Gigliola lustrissima circola con la gente". Negli anni '70 è la volta di "Andata e ritorno". "Gigliola, Gigliola" la impegnerà per tre anni consecutivi (1985-1987); un altro grande successo è la sua partecipazione del 1994 a "Tornando a casa", sigla "Sotto le stelle del jazz" di Paolo Conte, uno dei pezzi più belli del doppio CD "Live in Tokyo" . Dopo alcune partecipazioni a film musicali, nel 1966 Gigliola Cinquetti è protagonista di "Dio, come ti amo" (oggi film cult del genere, in Brasile è stato proiettato per 30 anni nella stessa sala cinematografica) e subito dopo di "Testa di rapa". Questo film ottiene un prestigioso riconoscimento, vince il Leone d'argento al Festival del Cinema di Venezia nella sezione ragazzi, ma un'incomprensibile censura ne vieta la proiezione. Più recentemente è stata nel cast del film di Pupi Avati "I Cavalieri che fecero l'impresa". In TV nel 1968 interpreta il ruolo di Zanze nella riduzione televisiva de "Le mie prigioni", ed è Dorina in "Addio giovinezza". Un ruolo drammatico nel 1971, "Il Bivio", ed un'altra bella prova la fornisce in una delle fiction di maggior successo della TV "Commesse" (1999), non dimenticando la bellissima esperienza teatrale in "L'uomo che inventò la televisione" assieme a Pippo Baudo e Lello Arena. Diplomata al Liceo Artistico di Verona (conseguì persino l'abilitazione all'insegnamento) Gigliola ha sempre amato la pittura e l'Arte. Ha anche realizzato alcune copertine di suoi dischi come "La Bohème" e "Mistero". Nel 1973 inizia una collaborazione con lo scrittore di favole per bambini Umbertino di Caprio ed illustra per lui il libro "Il pescastelle". Tale collaborazione ne produrrà, nel 1976, un secondo: "Inchiostrino". Nel 1981, dopo una lunga assenza dalle scene a seguito del matrimonio con il giornalista Luciano Teodori e la nascita del primo figlio Giovanni, Gigliola ritorna in TV in un ruolo completamente nuovo per lei, quello della giornalista televisiva nel programma di Federico Fazzuoli "Linea verde". Scrive per diversi giornali e nel 1996 RAI International le affida un programma estivo in cinque puntate dal titolo "Donne - Viaggio nella storia delle donne italiane". Nel 1998 SAT 2000 propone a Gigliola di condurre un talk-show quotidiano dal titolo "Vivendo Parlando" che avrà ben quattro edizioni. Con il giornale "L'Arena" instaura una collaborazione che dura cinque anni con la rubrica fissa "Pensieri al video" che compare ogni mercoledì sulle pagine dedicate alla cultura. Nel 2004 ha condotto "Di che sogno sei" su RAISAT EXTRA (aprile/luglio 2004), un magazine di attualità del quale è stata anche ideatrice. "Non ho l'età", dopo la vittoria a Sanremo, diventerà una bandiera, un inno per le mamme, le nonne, i papà d'Italia e di mezzo mondo grazie anche alla vittoria dell'Eurofestival. E' l'inizio di un clamoroso successo internazionale. Dalla Francia all'Argentina, dalla Spagna al Brasile, Messico, Colombia, dalla Germania al Canada e ancora l'Australia e il Giappone, tourneès trionfali, con le televisioni e le radio di tutto il mondo a contendersela. Un trionfo anche all'Olympia di Parigi, il tempio della musica leggera internazionale. Con Maurice Chevalier incide persino un disco"Lezione di Italiano (L'italiano)", e questo duetto rimane nella memoria per il clamore che suscitò. Milioni i dischi venduti da Gigliola in tutto il mondo. "Non ho l'età" sarà tradotta in diverse lingue, sempre interpretata da lei e conquisterà le classifiche di mezzo mondo. Sarà, insieme a "Volare" e qualche altra, la canzone italiana (interpretata da un artista italiano) più conosciuta e più venduta nel mondo. Dal 1964 ad oggi, sono circa 120 i paesi in cui sono stati pubblicati i dischi di Gigliola e 8 le lingue in cui ha cantato le sue canzoni. Altri successi mondiali tradotti in diverse lingue sono "La pioggia", "Alle porte del sole", "Dio come ti amo", "Gira l'amore" "Romantico blues". Molti successi sono stati incisi solo per i mercati internazionali: "Quando m'innamoro", "Le colline sono in fiore", "Zum Zum Zum". Il quasi secondo trionfo all'Eurofestival del 1974 in Inghilterra è l'inizio di un altro clamoroso ritorno al successo discografico internazionale. E avvenimento eccezionale, Gigliola riconquista il mercato anglosassone. Con "Go" versione di "Sì", Gigliola vola alto nella Hit Parade inglese, e in quelle di mezzo mondo. I trionfi giapponesi non si contano. La sua prima tournnèe risale al 1965 e vi tornerà parecchie volte sino al 1993 con una serie di concerti trionfali. Insieme al Giappone è forse la Francia il paese in cui Gigliola Cinquetti ha conquistato una popolarità immensa tanto da ottenere successi grandissimi con brani incisi solo per il mercato transalpino. Gigliola coglie un altro grande successo internazionale in Messico quando incide, nel 1968, con il famoso trio dei Los Panchos, l'ormai celebre "Gigliola Cinquetti e il trio los panchos in Messico" e sempre nello stesso anno, in Argentina, con la sua incisione dell'LP "Rosa d'amore", vince il primo premio del VII Festival Internazionale del Mar della Plata per le cantanti femminili. Bellissimo l'LP "Boniour Paris" che contiene pezzi straordinari interpretati da Gigliola con classe infinita e con la sensibilità tanto vicina ai grandi interpreti della canzone francese, come "Chanson pour l'Auvergnat" di Brassens, "Les feuilles mortes" di Prevert, "Ne me quitte pas" di Jacques Brel e la meravigliosa "Avec le temps" di Léo Ferré. E i paesi dell'Est Europeo? Anche lì Gigliola è molto conosciuta e parecchi sono i dischi pubblicati: dalla Russia, dove viene pubblicato persino l'LP "Pensieri di donna", alla Romania, dalla Polonia alla Jugoslavia, ma anche la Grecia (grande successo la sua versione greca de "La pioggia"), e Israele.
Testo originale a cura di Vincenzo Vizzari