domenica 30 novembre 2008

La nascita dei bambini non dipende dalla luna



Salute e medicina
La nascita dei bimbi non dipende dalla Luna
Salute e medicina
Inserito da scienzetv il Gio, 27/11/2008 - 12:29





BERLINO, Germania -- E' vero: quando si attende l'arrivo di un bambino, si ricorre davvero a tutto per scoprire quando sarà il momento fatidico. La tradizione popolare racconta che uno dei metodi più affidabili per le previsioni sia quello di guardare le fasi lunari. Ovvero, le nascite sarebbero favorite dalla Luna piena. Ebbene, non è vero.
Lo ha dimostrato un ricercatore tedesco, Oliver Kuss. Lo scienziato dell'Università di Halle ha realizzato il più grande studio per volume di dati a livello mondiale. Kuss ha raccolto informazioni su 4 milioni di nascite tra il 1966 e il 2003 e le ha analizzate alla luce delle fasi lunari. Il risultato è stato pubblicato oggi sul quotidiano Die Welt. Ebbene, secondo lo studio durante le fasi di Luna piena non si registra alcuna concentrazione delle nascite. Dunque, il detto popolare che la cicogna vola con la luna piena è del tutto irrealistico. Tuttavia ora la fantasia popolare può ricamare su altre scoperte dello studioso tedesco. Sì perché, a quanto pare, la maggior parte dei bebè teutonici è nata lunedì o martedì. Ma vuoi mettere il fascino della Luna...

venerdì 21 novembre 2008

Nasa e Google mettono in rete lo spazio


Nasa e Google mettono in rete lo spazio
Inserito da scienzetv il Ven, 21/11/2008 - 12:17

HOUSTON, Usa -- Dallo Shuttle potranno vedere i dati delle sonde su Marte. Dalla stazione spaziale internazionale in orbita, comunicare direttamente con le navette in arrivo o inviare immagini a una stazione spaziale sulla Luna. Il progetto è ambizioso: far comunicare fra loro stazioni spaziali, astronavi, navicelle e sonde sui pianeti.
Insomma, creare una sorta di internet dello spazio dove non serva più l'intervento di un centro di controllo posizionato sulla Terra come avviene oggi. E' questa l'idea che sta alla base del "Disruption Tolerant networking", ideato dalla Nasa e da Google.
L'esperimento ha già avuto un primo esito positivo. Nelle scorse settimana le immagini di Marte e del suo satellite Phobos sono state spedite alla sonda Epoxi, che si trova in viaggio verso la cometa Hartley-2, a 32 milioni di chilometri dalla Terra. Da qui sono tornate indietro senza difficoltà in maniera automatica grazie ad un nuovo protocollo chiamato Disruption – o Delay – Tolerant Networking (DTN). Il Dtn tiene quelle informazioni in "ghiacciaia" fino a quado il ricevente non è pronto a riceverle, e quindi le invia (o "inoltra" per usare il linguaggio ormai comune della posta elettronica). Per sviluppare questo nuovo software il centro JPL della Nasa e Google hanno lavorato insieme per dieci anni. I nodi sperimentati ora sono stati dieci: oltre alla sonda in viaggio ce n'erano altri nove erano simulati a terra. Il test è durato un mese. Fino ad oggi il sistema di comunicazione spaziale era tutto, diciamo così, "manuale". Nel senso che l'operatore del centro di controllo inviava una comunicazione e attendeva risposta. Niente di automatico. Ma, con un numero sempre maggiore di veicoli spaziali in orbita e con l'ipotesi di costruire basi spaziali su Luna e Marte, il sistema era destinato a non reggere. Da qui la necessità di disporre di un sistema più flessibile e che consenta comunicazioni varie contemporaneamente.

giovedì 20 novembre 2008

Quando l'anima dimorava nella lapide



Archeologia
Età del ferro nel Vicino Oriente
Quando l'anima dimorava nella lapide




Una stele con testo e immagini rinvenuta in condizioni quasi perfette prova che le antiche popolazioni del luogo ritenevano che l'anima del defunto abitasse nella suo monumento funebre

"Io, Kuttamuwa, servo Panamuwa, sono quello che ha provveduto in vita alla produzione di questa stele. L'ho posta nella camere eterna (?) e ho disposto un banchetto per [il dio della tempesta] Hadad, un montone per [il dio del Sole] Shamash, ... e un montone per la mia anima che è in questa stele." Questa incisione su una stele rinvenuta nelle regioni sud-orientali della Turchia, nel sito archeologico di Zincirli, dimostra che le popolazioni locali dell'età del ferro ritenevano che l'anima del defunto abitasse nella sua stele commemorativa. La scoperta è stata fatta da un gruppo di archeologi dell'
Università di Chicago diretti da David Schloen, che presenterà la "stele di Kuttamuwa" al convegno dell'American Schools of Oriental Research a Boston il 22 novembre prossimo.
"La stele è in condizioni quasi perfette. E' una combinazione unica di testo e immagini e ci fornisce un'importante sovrappiù di conoscenza dell'antico linguaggio e delle cultura della regione" ha detto Schloen.
Il sito di Zincirli - vicino all'antica città di Sam'al, al confine fra Anatolia e Siria - fu scavato per la prima volta nel corso degli anni novanta del XIX secolo da archeologi tedeschi, che vi rinvennero le mura di una città e diversi palazzi. Dato che su di esso non sono state costruite altre città, appena sotto la superficie si trova materiale dell'età del ferro eccellente, in buona parte ora conservato dei musei di Berlino e di Istanbul.
La stele è stata scoperte l'estate scorsa in un piccolo ambiente che era stato convertito in cella mortuaria per un ufficiale reale che si descrive nell'iscrizione come "servo" del re Panamuwa dell'VIII secolo a.C. E' stata trovata in prossimità delle mura della città in un'area residenziale, forse proprio la casa di Kuttamuwa, alquanto distante dal palazzo reale dove in precedenza erano state rinvenute diverse iscrizioni.
Secondo Schloen, la stele dimostra chiaramente che la cultura dell'età del ferro di Sam'al aveva ereditato trazioni culturali semitiche e non semitiche. Kuttamuwa e Panamuwa, sono infatti nomi non semitici, che riflettono le migrazioni nella regione delle popolazioni che parlavano lingue indoeuropee, avvenute in epoca hittita. Nell'VIII secolo a.C., queste popolazioni parlavano però un dialetto semitico occidentale e si erano completamente integrate nella cultura locale. L'iscrizione di Kuttumuwa, osservano i ricercatori, mostra un affascinante rimescolamento di elementi culturali semitici e non semitici, fra cui la credenza in un'anima persistente, che non abitava nella salma del defunto, come nel tradizionale pensiero semitico, ma nella lapide commemorativa, probabilmente perché i resti venivano cremati, pratica accuratamente evitata nelle culture semitiche.
Il testo è redatto in una scrittura derivata dall'antico fenicio in un dialetto semitico simile ad aramaico ed ebraico ed è di grande interesse sia per i linguisti sia per i biblisti e gli storici della religione in quanto proviene da un regno contemporaneo all'antico regno di Israele che con quest'ultimo aveva molti punti di contatto linguistici e culturali.
La scoperta getta una nuova sorprendente luce sulle credenze della vita ultraterrena nell'Età del ferro, e in particolare sulla credenza che l'identità, "l'anima", del defunto, permanesse abitando all'interno del monumento su cui era stata tracciata la sua immagine, come sottolinea la frase finale dell'incisione. (gg)
***

mercoledì 19 novembre 2008

Tempi geologici per la biochimica senza enzimi



Biologia
Sui “Proceedings of the National Academy of Science”
Tempi geologici per la biochimica senza enzimi



La conoscenza di questi dati permette di apprezzare l’evoluzione dei catalizzatori delle reazioni biochimiche e un confronto con i catalizzatori di sintesi

Tutte le reazioni biologiche all’interno delle cellule dipendono dagli enzimi: la loro azione permette a tali processi di svolgersi nell’arco di alcuni millisecondi.Ma quanto lentamente procederebbero le reazioni spontaneamente, cioè in assenza di enzimi: minuti, ore o giorni? E quale importanza scientifica ha tale questione? A occuparsene da alcuni anni è Richard Wolfenden, docente di biochimica e biofisica dell’
Università della North Carolina a Chapel Hill. Nel 1995, Wolfenden ha trovato che senza un particolare enzima, una reazione biologica assolutamente essenziale per costruire DNA ed RNA impiegherebbe circa 78 milioni di anni.
"Ora abbiamo trovato una reazione che, in assenza di enzimi, è circa 30 volte più lenta di quella”, ha spiegato Wolfenden. "Il suo tempo di dimezzamento, cioè il tempo che impiega la metà dei reagenti per essere consumata, è di 2,3 miliardi di anni, circa metà dell’età della Terra; gli enzimi fanno sì che la reazione si svolga nell’ordine di alcuni millisecondi.”
Secondo quanto riporta la rivista “Proceedings of the National Academy of Science”, che pubblica un resoconto dello studio, la reazione in questione è essenziale per la biosintesi dell’emoglobina e della clorofilla.
L’enzima che la catalizza, l’uroporfirinogeno decarbossilasi, è perciò fondamentale sia per la vita vegetale sia per quella animale: il tasso di produzione di clorofilla ed emoglobina nelle cellule “viene aumentato di un fattore enorme, equivalente alla differenza tra il diametro di una cellula batterica e la distanza tra il Sole e la Terra”.
La conoscenza di questi dati permette ai biologi di apprezzare l’evoluzione dei catalizzatori delle reazioni biochimiche e consente anche un confronto con i catalizzatori chimici sintetizzati in laboratorio. “Inoltre, gli enzimi che raggiungono una così alta efficienza come catalizzatori rappresentano anche alcuni fra i più sensibili bersagli per lo sviluppo di farmaci”, ha concluso il ricercatore. (fc)

sabato 15 novembre 2008

Hubble fotografa un pianeta extrasolare



Inserito da scienzetv il Ven, 14/11/2008 - 12:48

BERKELEY, Usa -- Il telescopio spaziale Hubble ha fatto un'altra scoperta clamorosa. Ha fotografato per la prima volta ad altissima risoluzione un pianeta extrasolare. L'immagine destinata a entrare nella storia è quella del pianeta «Fomalhaut b» in orbita attorno alla stella Fomalhaut nella costellazione del «Pesce australe».
Si tratta di un astro piuttosto vicino alla Terra (25 anni luce) e molto giovane: soli duecento milioni di anni. La sua brillantezza è 16 volte più alta del Sole. A individuarlo per primo era stato il satellite Iras che negli anni Ottanta aveva registrato nell’infrarosso la presenza di materiale nel circondario della stella. Non si trattava di polvere cosmica, sostenevano gli astronomi. Nel 2001 sei scienziati puntano Hubble nella direzione di Fomalhaut per cercare di vederci chiaro. Fanno centinaia di riprese. Poi nel 2004 e nel 2006 spuntano due fotografie che indicano un puntino giallo: era il pianeta che cercavano. Finora, con varie tecniche, sono stati trovati nello spazio circa 300 pianeti extrasolari. Ma nessuno è mai stato visto da vicino. La loro presenza veniva certificata solo indirettamente, attraverso le anomalie nel comportamento della stella madre o per un indebolimento della sua luminosità. E invece stavolta la fortuna e l’occhio di Hubble hanno avvistato il profilo planetario nel disco di polveri e corpi ghiacciati che circonda la stella madre. Si tratta di «Fomalhaut b», un pianeta gassoso e caldo simile a Giove, tre volte più grande e probabilmente con anelli come Saturno. Per compiere un giro intorno al suo astro, Formalhaut impiega 872 anni terrestri. A scoprirlo sono stati gli scienziati dell'Università della California, a Berkeley.

venerdì 14 novembre 2008

Per dormire meglio profumo di rose


Scienze della mente
Per dormire meglio profumo di rose
Inserito da scienzetv il Lun, 27/10/2008 - 12:31

CHICAGO, Usa -- I bei sogni sono favoriti se, prima di andare a dormire, mettete nella stanza fragranze profumate di rosa. Non è la nuova campagna pubblicitaria di un profumo, ma il risultato di uno studio scientifico presentato ieri alla conferenza dell'Accademia americano di otorinolaringoiatria di Chicago.
Inserisci da qui il corpo della notizia. La ricerca è stata realizzata dagli scienziati dell'Università di Mannheim, in Germania. Secondo gli studiosi è il filo diretto che lega il naso al cervello a determinare l'immaginario durante il sonno. Gli esperimenti del medico tedesco Boris Stuck hanno dimostrato che "il colore emotivo" dei sogni, cioè la loro piacevolezza, è influenzato dall'odore dell'ambiente. Lo scienziato ha analizzato i comportamenti di 15 donne. Ebbene, addormentate in una stanza imbevuta di fragranza di rosa, al loro risveglio dalla fase Rem del sonno (quella in cui si presentano i sogni), le donne hanno spesso riferito scene gradevoli. Al contrario, ripetendo l'esperimento con un odore di uova marce, il "colore emotivo" dei sogni ha virato verso l'angoscia. Certo, il campione di persone preso in analisi era numericamente limitato. Però dall'esperimento potrebbero venire gli spunti per altri interessanti approfondimenti di neurologia e psicanalisi. Il collegamento fra odori ed emozioni, d'altronde, è già stato ampiamente documentato. Così come non c'è dubbio che gli odori - che altro non sono che stimoli esterni al cervello attraverso al percezioni olfattiva - abbiano il potere di influenzare il contenuto dei sogni. Artin Arshamian, psicologo dell'università di Stoccolma, lo scorso anno ha pubblicato uno studio sui "sognatori di odori". In cui sostiene che, come nel sonno ci sono persone che vedono solo scene in bianco e nero, ci sono altri che arricchiscono i sogni con odori e chi invece si usa altri sensi. Un'ipotesi presa al balzo dalle aziende di profumi. Nel 2004, la giapponese Takara cercò di sfruttare le scoperte sulle relazioni fra sensi e sonno e lancio provò la "Fabbrica dei sogni", uno strumentino che univa dolci melodie, luci soffuse e fragranze di fiori, promettendo sonni meravigliosi. Mentre, ormai in quasi tutti i centri benessere, esistono ambienti esclusivamente dedicati all'aromaterapia un rilassante trattamento a base di essenze naturali.

giovedì 13 novembre 2008

L'impaccio delle zampe


Biologia
Andirivieni evolutivi
L'impaccio delle zampe



Una delle specie di Lerista ha perso completamente le zampe, adattandosi a un ambiente sabbioso, in meno di 3,6 milioni di anni
Una piccola lucertola, Lerista, ha più volte cambiato significativamente la forma del proprio corpo nell'arco di tempi evolutivamente molto brevi. Lo hanno dimostrato ricercatori dell'
Università di Adelaide, in Australia, che illustrano i risultati del loro studio in un articolo pubblicato sulla rivista online ad accesso pubblico BMC Evolutionary Biology.
Le lucertole australiane del genere Lerista rappresentano un modello particolarmente appropriato per lo studio della riduzione degli arti nelle lucertole e nei serpenti, dato che fra le 75 specie che lo compongono esiste una varietà di configurazioni degli arti assai elevata, andando da specie dotate di arti cinque dita fino a specie completamente prive di arti.
"Si ritiene che queste lucertole abbiano perso gli arti perché passano gran parte della loro vita 'nuotando' sulla sabbia, dove le zampe non sono non sono necessarie, ma a volte rappresentando addirittura un ostacolo", ha osservato Adam Skinner, che ha coordinato lo studio.
La cosa che più ha colpito Skinner e colleghi, che per studiare lo schema e la velocità di questa riduzione degli arti hanno eseguito un'ampia analisi genetica di questo genere di lucertole, è stata la scoperta - resa possibile anche dall'utilizzo di modelli al computer che simulavano i possibili percorsi evolutivi - del fatto che l'evoluzione di un corpo simile a quello dei serpenti non solo è avvenuto indipendentemente più volte, ma che questo processo si è svolto sempre in tempi relativamente brevi: "La velocità massima per la perdita completa delle zampe si è avuta nell'arco di soli 3,6 milioni di anni", ha osservato Skinner, sottolineando come si tratti di una rapidità eccezionale per un cambiamento evolutivo così significativo. (gg)

mercoledì 12 novembre 2008

Screening per persone a rischio di ictus



Sulla rivista “Nature Genetics”
Il rischio genetico dell'aneurisma risultati potrebbero portare a nuovi test di screening per identificare centinaia di migliaia di persone a rischio di ictus e all’individuazione di nuove strategie terapeutiche


Un gruppo di ricerca della Yale University ha compiuto il primo e cruciale passo per svelare il mistero degli aneurismi cerebrali, le rotture dei vasi sanguigni che colpiscono ogni anno circa 500.000 persone nel mondo.
Murat Gunel, docente di neurochirurgia e neurobiologia, insieme con i colleghi dell’
Howard Hughes Medical Institute, ha compiuto una scansione del genoma di più di 2000 soggetti affetti da aneurisma intracranico e di 8000 soggetti sani.
Sono così stati scoperti tre loci cromosomici le cui mutazioni genetiche aumentano in modo significativo il rischio di tale patologia. I soggetti sono stati reclutati da diversi ospedali in Finlandia, Paesi Bassi e Giappone, e i risultati sono stati assai simili in tutti i gruppi indicando che tale correlazione non varia al variare delle diverse popolazioni genetiche.Le conclusioni dello studio, ora pubblicato sull’ultimo numero di “Nature Genetics”, potrebbero portare a nuovi test di screening per identificare centinaia di migliaia di persone a rischio di ictus e all’individuazione di nuove strategie terapeutiche.L’età mediana dell’ictus emorragico è di circa 50 anni, e di solito non è preceduto da sintomi che possono mettere in all’erta sul rischio di questi pericolosi eventi emorragici.
Senza una comprensione delle cause di tali eventi, l’unico intervento medico può essere effettuato solo dopo che il danno a carico dei tessuti cerebrali è già avvenuto. "Questi risultati gettano una luce sui meccanismi genetici e biochimici che causano questa devastante patologia cerebrale: in particolare, i risultati riguardano le mutazioni a carico del gene SOX17, noto per avere un ruolo cruciale nello sviluppo e nei processi riparativi delle cellule endoteliali che costituiscono le pareti dei vasi sanguigni", ha concluso Gunel. "Tali mutazioni possono interferire con la capacità di produrre cellule in grado di riparare il danno ai tessuti: ciò suggerisce un possibile bersaglio per nuove strategie di prevenzione". (fc)

venerdì 7 novembre 2008

La Cnn sperimenta l'ologramma in TV


La Cnn sperimenta l'ologramma in tv
Hi-Tech
Inserito da scienzetv il Mer, 05/11/2008 - 17:23

ATLANTA, Usa -- Per la prima volta nella storia della televisione, sugli schermi è apparso un ologramma tridimensionale vero e proprio. Lo ha sperimentato la Cnn durante la notte elettorale, nel suo studio televisivo.


Per riuscire nell'impresa sono state utilizzate qualcosa come 35 telecamere. Grazie alle moderne tecniche di ripresa dello studio centrale di New York la reporter Jessica Yellin che si trovava a Chicago è stata trasposrtata in studio e proiettata davanti al conduttore delle trasmissione elettorale. Per realizzare questo prodigio tecnologico in diretta tv, dicevamo, sono state impiegato un numero mai visto di telecamere che riprendevano la giornalista da ogni angolazione per poi riprodurre nello studio a duecento chilometri di distanza la sua immagine in un ologramma tridimensionale. Il conduttore Wolf Blitzer ha conversato faccia a faccia per qualche minuto con la corrispondente virtuale da Chicago: «Sei un fantastico ologramma», ha esordito l'anchorman. Il sottopancia del servizio recitava: «Jessica Yellin via ologramma da Chicago. Live». «Sembro Leila, la principessa di Guerre Stellari», ha invece scherzato la giornalista.

giovedì 6 novembre 2008

Un gene per i disordini del linguaggio




Biologia
Sul New England Journal of Medicine


Produce la proteina neurexina, presente sulla superficie dei neuroni, che controlla le interazioni e il "cablaggio" fra le differenti cellule durante lo sviluppo


E' stato identificato il primo gene associato al disordine specifico del linguaggio, (DSL): si tratta del gene CNTNAP2, che di recente è stato messo in relazione anche all'autismo e che potrebbe rappresentare un legame genetico chiave fra i due disturbi.
"Da tempo si sospettava che fattori ereditari avessero un ruolo importante nei disturbi del linguaggio infantili. Ma questa è la prima volta che siamo stati in grado di provare il coinvolgimento di varianti di uno specifico gene" ha osservato Simon Fisher, del
Wellcome Trust Centre for Human Genetics dell'Università di Oxford, che firma con i collaboratori un articolo in merito sul New England Journal of Medicine.
La ricerca era in realtà partita dallo studio di un altro gene correlato al linguaggio, FOXP2, che precedenti lavori avevano mostrato essere in relazione a rari casi di gravi disturbi del linguaggio e della fonazione. Versioni di FOXP2 sono presenti in svariati animali: negli uccelli sono legate al canto, mentre nel topo all'apprendimento di sequenze di movimenti e nel pipistrello alla ecolocalizzazione. FOXP2 modula altri geni fra i quali, come hanno scoperto Fisher e colleghi, proprio CNTNAP2.
Studiando 184 famiglie in cui ricorreva il disturbo specifico del linguaggio hanno così scoperto che i bambini portatori di alcune varianti di quel gene manifestavano ridotte abilità di linguaggio, in particolare con l'insistente ripetizione di parole prive di senso.
Non è ancora chiaro come CNTNAP2 interferisca con lo sviluppo del linguaggio, ma il gene produce una proteina chiamata neurexina che si trova sulla superficie dei neuroni e controlla le interazioni fra le differenti cellule durante lo sviluppo e il loro "cablaggio". Nelle prime fasi dello sviluppo la proteina è fortemente espressa in aree cerebrali che successivamente diventeranno importanti per l'elaborazione del linguaggio, come i lobi frontali.
I ricercatori ora intendono studiare come le diverse variazioni di CNTNAP2 contribuiscano alle variazioni naturali nelle capacità linguistiche nella popolazione generale. (gg)

mercoledì 5 novembre 2008

Hubble è di nuovo al lavoro




Hubble è di nuovo al lavoro
di Claudio Elidoro - Fonte: NASA/ESA



Due settimane fa il computer di bordo che sovrintende alle operazioni di Hubble era incappato in qualche misterioso errore e, come da protocollo, il telescopio spaziale era stato posto in modalità protetta. Ogni tentativo da terra per provare a riattivare il sistema sembrava inefficace e già c'era chi presagiva un'ingloriosa uscita di scena. Fortunatamente, però, i tecnici sono riusciti anche stavolta a rimediare all'intoppo e hanno nuovamente messo Hubble nelle condizioni di svolgere il suo prezioso lavoro.Per verificare la piena funzionalità del sistema, il 27 e 28 ottobre scorsi - appena un paio di giorni dopo la sua riattivazione - Hubble ha puntato la Wide Field Planetary Camera 2 (WFPC2) verso Arp 147, una coppia di galassie interagenti distanti 400 milioni di anni luce in direzione della costellazione della Balena e ha mostrato di essere ancora in grado di offrire i suoi fantastici standard di qualità. Prestazione ineccepibile per la strumentazione e immagine perfetta, dunque, con le due galassie (una vista di fronte e l'altra di taglio) che disegnano un bel 10 nell'immagine. Mettiamola così: è l'immagine stessa che assegna a Hubble il massimo dei voti.Al di là della soddisfazione per lo stupendo panorama galattico e, soprattutto, perché Hubble è nuovamente in servizio, l'immagine di Arp 147 ci offre alcuni spunti sulle conseguenze dell'interazione gravitazionale tra due galassie. L'evidente anello blu sede di una intensa produzione stellare che caratterizza la galassia a destra nell'immagine, infatti, è stato generato proprio a seguito dell'incontro tra le due galassie. Come un sasso lanciato in uno stagno, il passaggio della galassia di sinistra attraverso l'altra ha generato un'onda circolare in espansione, praticamente un fronte di densità più elevata che si allontanava dal punto di impatto. Non appena questo fronte di densità si è scontrato con il materiale circostante, richiamato verso l'interno dall'azione gravitazionale, si è innescata una intensa produzione di nuove stelle. Nell'immagine, inoltre, si può notare un grumo polveroso e rossiccio nella parte inferiore sinistra dell'anello. Gli astronomi ritengono che è lì che probabilmente si trovava il nucleo originario della galassia.Una doverosa precisazione conclusiva a proposito dei colori dell'immagine (senza dubbio ben nota a chi abitualmente si delizia con le immagini di Hubble). L'immagine è stata assemblata sovrapponendo le riprese compiute dalla WFPCT2 con tre differenti filtri. I colori blu, verde e rosso indicano le riprese effettuate rispettivamente nel blu, nello spettro visibile e nell'infrarosso.
Links - Collegamenti:http://www.spacetelescope.org/news/html/heic0820.html


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martedì 4 novembre 2008

Il dilemma di Corot






Il dilemma di COROT
di Claudio Elidoro - Fonte: ESA




Da tempo la scoperta di nuovi pianeti extrasolari non fa più notizia o quasi, ma questo nuovo pianeta scovato dal satellite gestito dall'Agenzia spaziale francese e dall'ESA (con contributi specifici anche di Austria, Belgio, Germania, Spagna e Brasile) non poteva certo farla franca.COROT-exo-3b, questo il nome del pianeta, ha più o meno le dimensioni di Giove e orbita intorno a una stella appena più grande del nostro Sole, impiegando per ogni suo giro solamente 4 giorni e 6 ore. Fin qui, tutto sommato, nulla di strano. Non è certo una novità scoprire oggetti talmente appiccicati alla loro stella che per orbitarle intorno ci mettono una settimana o giù di lì. A volte questi oggetti si sono poi rivelati essere nane brune, vale a dire stelle che non sono riuscite a sbocciate perchè non hanno potuto innescare un ciclo stabile di reazioni nucleari.Finora la collocazione in una delle due categorie convenzionali di pianeta o nana bruna non aveva mai dato grossi problemi. E' vero, non è proprio così chiaro l'intervallo di massa per il quale si possa parlare di nana bruna, ma è altrettanto vero che i casi incontrati dagli astronomi non rendevano così problematica la classificazione. Stabilire che un oggetto con massa pari a 12 volte quella di Giove potesse essere considerato un pianeta non creava particolari problemi, come pure affermare che un oggetto di 70 masse gioviane appartenesse alla categoria delle nane brune.La particolarità che rende COROT-exo-3b davvero unico è che, stando ai comunicati stampa, la sua massa è pari a 20 volte quella di Giove. Questo comporta un paio di conseguenze piuttosto importanti. Anzitutto che siamo probabilmente in presenza del primo esemplare di una possibile classe intermedia tra pianeti e nane brune e che forse saremo obbligati a ripensare l'attuale classificazione. Ma comporta anche - sempre se la massa e le dimensioni annunciate nel comunicato stampa sono proprio quelle corrette e determinate grazie al concorso di un gran numero di osservazioni compiute anche dalla superficie terrestre - che ci si chieda seriamente di che materiali possa essere fatto un simile esotico oggetto caratterizzato da una densità così elevata. O perlomeno che strana struttura si possa nascondere al suo interno.
Links - Collegamenti:http://www.esa.int/esaCP/SEM0GG9FTLF_index_0.html

domenica 2 novembre 2008

La vera isola di Robinson Crusoe


Ecco la vera isola di Robinson Crusoe
Inserito da scienzetv il Ven, 31/10/2008 - 15:56

JUAN FERNANDEZ, Cile -- Il vero Robinson Crusoe naufragò al largo del Cile nell'isola vulcanica di Más a Tierra. Ora ne abbiamo le prove. Il marinaio scozzese Aexander Selkirk, che ispirò Defoe nella scirttura del romanzo del celebre naufrago, lasciò infatti qui alcuni oggetti, che oggi sono stati ritrovati sull'isola appartenente all'arcipelago delle Juan Fernández.
L'arcipelago delle Juan Fernández si trova al largo della costa cilena, ed è di origine vulcanica. Su una delle sue isole nel 1704 naufragò il marinaio scozzese dalla cui storia prese ispirazione Daniel Defoe per la scrittura del suo celebre romanzo Robinson Crusoe, o "Vita e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe", come recita il titolo originale. L'isola su cui approdò Selkirk fu precisamente quella di Más a Tierra, ribattezzata poi Isola di Robinson Crusoe, e oggi gli archeologi ne hanno trovato le prove. La notizia è riferita dalla rivista Post-Medieval Archaeology, che spiega che studi recenti hanno portato alla scoperta di segni della presenza di un uomo occidentale nella parte dell'isola chiamata Agua Buena. Secondo Science Daily, fra le prove più schiaccianti ci sarebbe una coppia di compassi nautici, di cui avrebbe parlato anche il capitano Woodes Rogers, responsabile del salvataggio di Selkirk nel 1709. Attraverso gli scavi inoltre, gli studiosi hanno ricostruito l'insediamento del naufrago: il vero Crusoe sarebbe sopravvissuto sull'isola riparandosi in due accampamenti situati nei pressi di un ruscello. Da qui il marinaio poteva scrutare costantemente la spiaggia e il mare, da qui dopo 4 anni di solitudine vide probabilmente la nave che l'avrebbe riportato a casa.

Valentina d'Angella

Alla ricerca di antimateria



Astronomia e cosmologia
Asimmetrie cosmiche



Alla ricerca di antimateria nell'Ammasso del Proiettile.
Il cluster emette radiazione X ma non radiazione gamma: è un segno che non avvengono processi di annichilazione particella-antiparticella
La rivelazione dell’antimateria potrebbe essere ancora più difficoltosa di quanto previsto finora, almeno stando ai risultati di uno studio basato sui dati raccolti dai telescopi spaziali
Chandra X-ray Observatory e Compton Gamma Ray Observatory della NASA.La radiazione emessa dall’Ammasso del Proiettile dai due strumenti sembra escludere che in esso siano in atto processi di annichilazione e quindi che sia presente antimateria."Se materia è antimateria sono esistite a breve distanza l’uno dall’altra prima dell’Inflazione, ora dovrebbero essere separate da una distanza maggiore della scala dell’universo osservabile, è per questo motivo non potremmo mai essere in grado di vederla," ha commentato Gary Steigman dell’Ohio State University, che ha coordinato lo studio. Ma potrebbero essere separate su scale più piccole come quella dei supercluster e dei cluster”.In questo caso, Le collisione tra due cluster di galassie, le più grandi strutture legate gravitazionalmente nell’universo, potrebbero mostrare le prove della presenza di antimateria. Le emissioni di raggi X mostrano quanto gas ad alta temperatura è coinvolto in tale collisione: se parte del gas di entrambi gli ammassi contiene particelle di antimateria, allora si dovrebbe verificare il fenomeno di annichilazione, e tale radiazione dovrebbe essere accompagnata da raggi gamma.Steigman ha utilizzato i dati ottenuti con i telescopi Chandra e Compton per studiare il cosiddetto Ammasso del Proiettile, e in cui due grandi cluster di galassie si sono fusi in una solo a velocità estremamente alte. Essendo a distanza relativamente piccola dalla Terra e avendo una orientazione sufficientemente trasversale rispetto alla direzione di osservazione, l’Ammasso del Proiettile fornisce un eccellente sistema per testare il segnale dell’antimateria."Si tratta della più ampia scala sulla quale sia mai stato fatto un test di questo genere”, ha commentato Steigman, che firma un articolo in proposito sulla rivista”Journal of Cosmology and Astroparticle Physics”. "Stiamo cercando di verificare se possano esistere ammassi di galassie costituiti da enormi quantità di antimateria.”La quantità di radiazione X osservata grazie a Chandra e la mancata rivelazione di radiazione gamma da parte di Compton sembra mostrare che la frazione di antimateria nel Bullet Cluster è meno di tre parti per milione. In particolare, le simulazioni della fusione del Bullet Cluster mostrano che questi risultati escludono la presenza di quantità significative di antimateria su scale di circa 65 milioni di anni luce, una stima della originale separazione dei due ammassi in collisione. (fc)