La ricercatrice veronese Laura Longo spiega i risultati dell’analisi sui resti di un uomo di Neanderthal scoperti nei pressi di Avesa
Ricostruito dagli studiosi il Dna dell’
È il primo risultato di questo genere raggiunto in Italia. Il dossier è stato pubblicato su una rivista inglese
Un veronese di 50 mila anni fa. È di casa nostra il primo Dna estratto da un reperto fossile. È la prima volta in Italia che i ricercatori risalgono alla catena sequenziale delle nostre origini da un uomo di Neanderthal. Si tratta di una forma umana precedente alla nostra che visse nelle grotte e nei ripari del veronese intorno a 50 mila anni fa, molto diffusa in tutta Europa e nel bacino meridionale.
Il reperto analizzato proviene da riparo archeologico di Vajo Galina, vicino ad Avesa ed appartiene ad un uomo vissuto fra i 120 mila e i 24 mila anni fa. Praticamente l’altroieri. Solo da altri sei resti umani nel resto del mondo è stato possibile estrarre la catena del Dna. La ricerca è stata condotta dal professor David Caramelli docente di Antropologia all’Università di Firenze. La notizia è stata pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica inglese Current Biology. Sino ad oggi i neandethaliani il cui Dna era stato analizzato mostravano una notevole somiglianza tra loro, quasi a testimoniare una certa omogeneità del patrimonio genetico del gruppo.
Invece il Dna del fossile italiano risulta molto diverso da quello dei neanderthaliani tedeschi, croati e spagnoli e presenta invece maggiori affinità con il Dna estratto da reperti del vicino oriente (grotta di Mezmaiskaya in Caucaso), con il quale condivide anche due mutazioni particolarmente significative. Ma dove viveva il nostro antenato? “L’uomo di Neanderthal viveva sulle colline sopra Avesa”, risponde Laura Longo, conservatore di Preistoria al Museo di Storia Naturale di Verona, con dottorato di ricerca presso l’Università di Siena. La località è nota, Vajo Galina, riparo Franco Mezzena, dal nome dello scopritore. Subito dopo Avesa, salendo verso la Cola e Montecchio si notano sulla destra, alcune indicazioni gialle con la scritta, ripari preistorici.
Qui, molti anni fa, sono stati scoperti due siti, il riparo Mezzena e il riparo Zampieri, entrambi individuati alla fine degli anni Cinquanta. Nel dopoguerra il museo scaligero aveva condotto sistematiche campagne di scavo e molti materiali vennero portati al museo. Nel 2002 venne organizzata la mostra “I nostri antenati fossili antichi e i modelli virtuali”. La rassegna riscosse grande successo. Il Comitato scientifico internazionale valorizzò la notevole collezione di fossili che provenivano dal territorio cittadino e che risalgono da 400 mila anni fa, un classico esempio di Homo sapiens.
Segno che il territorio della città è stato abitato ininterrottamente per tutto questo arco di tempo. “Verona”, spiega Longo, “anche durante i periodi più duri delle glaciazioni conservava un discreto irradiamento solare, fatto che ha permesso all’uomo di sopravvivere”. Non solo per l’uomo, ma anche per animali e piante. Dalla mostra del 2002, vennero stabiliti molti contatti con studiosi internazionali di fossili umani. La ricerca genetica permetterebbe di supportare ciò che l’archeologia aveva già intuito sui movimenti e gli insediamenti degli uomini preistorici nel veronese.
In particolare i confronti tra i manufatti prodotti da questi nostri avi. Ciò consentirà di ampliare le attuali conoscenze sulle fasi di popolamento e insediamento nel bacino mediterraneo e nell’Italia Settentrionale. Verona conferma così il suo ruolo primario nella ricerca archeologica e non a caso i ricercatori auspicano i necessari finanziamenti per proseguire il loro importante lavoro. Perché la storia del nostro passato potrebbe riservare altre interessanti sorprese.
“Stiamo aspettando la caduta delle foglie per ripulire la sezione interessata agli scavi e prelevare altri campioni direttamente alla fonte”, promette Laura Longo. Il progetto del museo scaligero prevede nuove aggiornate analisi dei resti fossili umani e del loro contesto ambientale e cronologico, per una loro ricollocazione nel mutato panorama dell’evoluzione umana.
Danilo Castellarin
Da “L’Arena di Verona”
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Molte miniere di reperti tra le colline
Oltre ad Avesa, il territorio di Verona ha una notevole serie di ripari preistorici. Fra questi ricordiamo Quinzano, la zona della Ca’ Verde vicino a Sant’Ambrogio di Valpolicella e Stallavena. La scelta dei nostri avi era sempre condizionata dalla possibilità di trovare cibo. L’uomo preistorico era infatti totalmente dipendente dagli animali, dalle prede di cui si cibava. I suoi rifugi erano quindi collocati tra la collina e le prime alture.
Lo studio del territorio veronese che ha meritato l’attenzione dei più accreditati esperti internazionali ha visto la partecipazione di antropologi molecolari (David Caramelli, del Dipartimento di Biologia Animale e Genetica Laboratori di Antropologia dell’Università di Firenze), genetisti (Guido Barbujani del Dipartimento di Biologia dell’Università di Ferrara), antropologi fisici (Silvana Condemi, Faculté de Medicine-Université de la Mediterranée, Marseille) e archeologi (Laura Longo, Conservatore di Preistoria del Museo di Storia Naturale di Verona e attualmente in forza alla sezione di Ecologia Preistorica dell’Università di Siena).
Con Paolo Giunti, Longo coordina la revisione dei siti veronesi del Paleolitico. Nel territorio della nostra provincia sono stati rinvenuti resti di Homo ereticus, di neanderthaliani, di Homo sapiens arcaico e di Homo sapiens sapiens, tutti scoperti durante le laboriose ricerche del museo. (d.ca)
Da “L’Arena di Verona”
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