martedì 9 agosto 2011

Jurij Leonowitsch Alschitz



Jurij Leonowitsch Alschitz (Odessa, 9 agosto 1947) è un regista teatrale e teorico teatrale russo. Risiede a Berlino dal 1992.

Nato ad Odessa, in Unione Sovietica, Alschitz proviene da una famiglia da sempre vissuta a contatto con il teatro. Sua madre era l'attrice Raisa Stavitskaja e suo padre era il celebre scenografo Leon Alschitz.
Alschitz, riconosciuto per le sue specifiche modalità di affrontare le pratiche sceniche, ha sviluppato sia a livello teorico, sia a livello pratico, nuove metodologie per il training degli attori e dei registi, mettendo al centro della sua ricerca l'elemento pedagogico. Il segno distintivo della sua ricerca e del suo insegnamento è l'internazionalità, ossia l'incorporamento di elementi tratti da diverse tradizioni teatrali: dal teatro occidentale europeo alla grande tradizione russa, senza dimenticare il teatro orientale. Il lungo cammino che lo porterà a diventare un grande teorico teatrale avrà inizio all'Università di Mosca, dove studierà tra il 1969 e il 1973 con il prof. J.N. Malkowskij, uno degli ultimi dieci allievi di Stanislavskij ancora vivi e con il prof. Oleg Koudriachov. Successivamente, dopo numerose produzioni nei teatri statali di Mosca, Kiev, Odessa, Riga egli frequenta l'accademia d'arte drammatica russa, il GITIS, diretto dai maestri Mikhail Butkevich e Anatoly Vasiliev, dove riuscirà poi ad ottenere anche un posto da docente.
Dopo essersi trasferito a Berlino nel 1992, Jurij Alschitz si concentra esclusivamente sull'aspetto pedagogico, in particolare svolgendo continua opera d'insegnamento ad attori e registi professionisti e tentando di sviluppare anche una pedagogia utile e proficua per gli insegnanti di recitazione. Ha insegnato in Germania, Danimarca, Francia, Italia, Norvegia, Svezia, Spagna. Tra le sue docenze, annovera la Staatlichen Hochschule für Musik und Darstellende Kunst (Stoccarda), la Folkwang Hochschule (Essen), la Berlin University of the Arts (Berlino), il Dramatiska Institutet (Stoccolma), la Civica Accademia d’Arte Dramatica Nico Pepe (Udine), il Centro Sperimentale di Cinematografia (Roma), Pontedera Teatro e la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi (Milano).
Composizione: il metodo Alschitz

Il teatro per Alschitz è produzione di eventi in scena. E' perciò fondamentale per l'orientamento dell'attore l'adottare una composizione per il suo spettacolo che abbia un inizio ben chiaro, la presenza di più eventi (di cui uno che possa essere riconosciuto ed identificato come "evento principale") e un finale. Molte volte l'evento principale può coincidere con il finale stesso o essere comunque situato in prossimità delle ultime parti dello spettacolo. Tutte le parti di composizione devono avere un titolo, scelto personalmente dall'attore o dall'ensemble di attori. Questo titolo non solo si rivelerà un'utile mappatura per orientarsi nella pratica scenica, ma dovrà essere scelto affinché stimoli gli apparati degli attori in scena per mezzo delle suggestioni e delle immagini che può suscitare (non è infrequente l'utilizzo di titoli di film, canzoni, opere teatrali, proverbi, ecc.). Tutti gli esercizi di training per la preparazione dell'attore ideati da Jurij Alschitz durante la sua lunga carriera di insegnante sono finalizzati all'apprendimento, indotto o spontaneo, della composizione e in essi stessi sono sempre identificabili con chiarezza inizio, evento principale e finale.
Cenni sulla verticale del ruolo: l'attore autore del ruolo

Jurij Alschitz nel suo libro "La verticale del ruolo", scritto con Christian Di Domenico (suo stretto collaboratore in molti laboratori teatrali internazionali per attori e registi professionisti), indica la verticale del ruolo come metodo di autopreparazione dell'attore alla parte da interpretare. Questa metodologia si muove su due fronti: quello orizzontale e quello verticale. Il fronte "orizzontale" è quello dove l'attore è impegnato a ricostruire, per mezzo di improvvisazioni sceniche, la sequenza di eventi oggettivi che caratterizzano il suo ruolo come fosse protagonista unico della storia in cui è inserito. Il risultato finale di quest'opera di storytelling, che avviene a più fasi, è l'ottenere un mito che descriva efficacemente la storia del ruolo. Il fronte "verticale", invece, parte dalla ricerca di un tema (sempre indicato sotto forma di conflitto o domanda), presente nella drammaturgia del ruolo, che riesca a coinvolgere personalmente anche l'attore. Il risultato finale di questa lunga fase di lavoro porterà ad una drammaturgia personale, formata dalla commistione tra il testo del ruolo e altri testi che parlano del tema prescelto (selezionabili da ogni forma d'arte, dal cinema alla letteratura). E' possibile inserire musiche, danze, pause e scegliere abiti che provochino ulteriormente l'apparato dell'attore che deve affrontare il ruolo senza pregiudizi di sorta (sostanzialmente, senza "interpretare" e "recitare" nell'accezione letterale dei termini) ma mettendosi a nudo con il tema. La drammaturgia personale (nella quale sarà presente una frase verticale, momento di massima tensione per l'apparato dell'attore) potrà infine diventare una monoperformance di circa 40-50 minuti che possa poi nutrire artisticamente l'attore in vista del confronto con l'ensemble per la preparazione dello spettacolo. Solo allora, infatti, si potrà iniziare un'adeguata analisi del testo prescelto con il regista.

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