mercoledì 27 agosto 2008

Giapponesi sulle tracce dello Yeti


Giapponesi sulle tracce dello Yeti
Inserito da scienzetv il Mar, 26/08/2008 - 17:01

TOKYO - In Nepal a caccia dello Yeti. Una spedizione alpinistica è in partenza dal Giappone per le vette himalayane per cercare la leggendaria creatura delle montagne che, secondo gli esploratori nipponici, abiterebbe sul Dhaulagiri IV. A dimostrarlo sarebbero delle presunte impronte, sulle cui tracce sarebbero ora i giapponesi.
Lo Yeti, mitico essere a metà uomo e metà scimmia, esiste realmente. Parola di un gruppo di esploratori giapponesi, che ora per dimostrarlo al mondo, hanno deciso di partire in spedizione per trovarlo una volta per tutte.
La spedizione, la Yeti Project Japan, è composta da 6 alpinisti ed è guidata dal 65enne Takahashi Yoshiteru. La prova principale presa a movente della missione sarebbe la localizzazione di tracce riconducibili a uno Yeti individuate sul Dhaulagiri IV in occasione delle scalate effettuate nel 1994 e poi ancora nel 2003.
"Andranno a esplorare la stessa zona dove nel 2003 avvistai una figura simile allo Yeti - ha dichiarato alla stampa il portavoce del gruppo, Nobuko Koyama - ma l'obiettivo finale non è la cattura di un esemplare, ci interessa solo ottenere foto che siano chiare e inconfutabili".
Il programma della spedizione è quello di piazzare sulla vetta della montagna sei macchine fotografiche a infrarossi per immortalare la leggendaria creatura delle nevi. In cima il gruppo si fermerà per 6 settimane, attendendo il fatidico momento della comparsa dello Yeti.

lunedì 25 agosto 2008

L'universo sempre più veloce



Studiosi americani sono riusciti a individurare le variazioni della Costante di HubbleQuesto numero inafferrabile misura la rapidità con cui si espande il nostro mondo
Il record dell'universo va sempre più veloce
di DENNIS OVERBYE





UN GIOVANE astronomo ha intrapreso con i suoi colleghi una delle ricerche di più vecchia data in cosmologia, finalizzata a misurare quanto rapidamente stia crescendo l'universo, quanto sia grande e quanto sia vecchio. Queste informazioni sono codificate in un numero per il momento inafferrabile noto come Costante di Hubble. "E' il numero più importante in cosmologia" sostiene Adam Riess, 38 anni, astronomo dello Space Telescope Science Institute e dell'Università John Hopkins, nonché uno degli scienziati che una decina di anni fa scoprirono che una sorta di "energia oscura" sta accelerando il ritmo di espansione dell'universo. La primavera scorsa Riess ha annunciato di aver utilizzato l'Hubble Space Telescope insieme al suo collega Lucas Macri dell'Università Texas A&M e di aver effettuato la misurazione più precisa finora di questo parametro. Espressa in gergo tecnico, la Costante di Hubble riferita da Riess è pari a 74 chilometri per secondo "per megaparsec" (un parsec, parallasse-secondo, equivale a 3,26 anni luce; un megaparsec a 10^6, ndt). Ciò significa che per ogni ulteriore milione di parsec (circa 3,26 milioni di anni luce) che ci separa da una galassia, questa viaggia di 74 chilometri al secondo più veloce. La novità dell'annuncio non consiste tanto nel valore espresso da Riess bensì nella precisione: un margine di errore del 4,3 per cento. "Non dico che riusciremo a ottenere il valore della Costante con un margine di errore dell'uno per cento, ma che potremmo" ha dichiarato Riess. Con quanta più precisione si riuscirà a individuare il valore esatto della Costante di Hubble, tanto più precisamente si potranno identificare le proprietà di questa forza enigmatica. I cosmologi vorrebbero sapere se il loro modello standard di universo ha senso: la nascita risale realmente a 13,7 miliardi di anni fa? L'universo è pieno di materia oscura e di energia oscura? E' disseminato di galassie nate per effetto della gravità da fluttuazioni microscopiche casuali avvenute durante il Big Bang? Questo universo è descritto matematicamente da una mezza dozzina di parametri, dai quali può essere calcolata la Costante di Hubble. Ma per verificare il modello, la Costante deve essere misurata con estrema precisione.


Sia il telescopio sia la Costante hanno preso il nome di Edwin Hubble, l'astronomo del Mount Wilson che nel 1929 scoprì che l'universo si sta espandendo. Col passare del tempo cosmico la gravità tende a rallentare l'espansione, mentre l'energia oscura cerca di accelerarla. La storia della ricerca della Costante di Hubble è stata caratterizzata da molte iniziative arenatesi in seguito alla difficoltà di individuare con precisione la distanza delle galassie. Si supponeva che questi problemi potessero essere risolti sia con il telescopio Hubble del Palomar Mountain in California inaugurato nel 1948 sia con il Telescopio Spaziale Hubble lanciato dopo 42 anni. Allan Sandage, del Carnegie Observatories, che dalla morte di Hubble nel 1953 misura e rimisura la Costante di Hubble, ama ripetere: "E' meraviglioso riuscire a calcolare una distanza, perché è impossibile anche solo credere di poterci riuscire". Secondo Riess la questione sta in altri termini: "Non potremo mai dire: "Ecco, ora abbiamo ottenuto il valore che cercavamo", perché è il destino dell'umanità cercarlo per sempre". Copyright New York Times - La Repubblica (Traduzione di Anna Bissanti)

mercoledì 13 agosto 2008





IL CIELO
18/7/2008
Il 5 settembre "Rosetta"incontrerà il pianetino Stein

PIERO BIANUCCI
La navicella “Rosetta” dell’Agenzia spaziale europea (nel disegno) si prepara a svolgere il primo compito della lunga missione che la porterà nel 2014 a inseguire una cometa e a sganciare su di essa un laboratorio per fare l’analisi chimica della sua superficie. Questo primo lavoro scientifico consiste nell’osservazione ravvicinata dell’asteroide “2867 Steins” in orbita tra Marte e Giove. Lo raggiungerà il 5 settembre ma la manovra per arrivare con precisione all’appuntamento è già iniziata l’otto luglio con la riaccensione degli strumenti e dei sistemi a bordo della navicella, normalmente ibernati per risparmiare energia durante il volo di crociera. L’asteroide (o pianetino) Steins fu scoperto nel 1969 dai russi Chernykh e Nauchnyi e intitolato al loro connazionale Karlis Augustovich Steins (1911-1983), direttore dell’Osservatorio universitario di Latvian, noto per i suoi studi sull’origine delle comete. Steins è un asteroide di tipo E dalle caratteristiche piuttosto rare, composto soprattutto da silicati e basalti, e quindi la sua osservazione si annuncia particolarmente interessante. L’incontro avverrà a poco più di 300 milioni di chilometri dal Sole (2,1 AU, Unità Astronomiche) alle 20,37 del 5 settembre. La distanza minima tra la navicella e il pianetino sarà di 800 chilometri e la velocità relativa di 8,6 chilometri al secondo. Per tenere l’asteroide sempre nel campo visivo la navicella verrà fatta ruotare su se stessa più velocemente. Tra il 4 agosto e il 4 settembre gli astronomi seguiranno con cura l’avvicinamento con le telecamere a bordo di “Rosetta” per poter conoscere meglio l’orbita del pianetino e quindi programmare il sorvolo nei minimi particolari. Tra i pianetini già visitati ricordiamo Gaspra (il primo, abbordato dalla navicella “Galileo” in rotta verso Giove), Ida (che alla stessa navicella rivelò un piccolo satellite, battezzato Dactyl), Mathilde, Eros (studiato per un anno nei minimi particolari dalla navicella americana Near-Shoemaker), Braille, Annefrank, Itokawa. Nel 2007 è partita una missione per l’osservazione di Cerere (l’asteroide più grande, ora considerato “pianeta nano”) e Vesta. Dopo Steins, nel 2010 “Rosetta” visiterà ancora il pianetino “21 Lutetia”, scoperto nel 1851 da Goldschmidt all’Osservatorio di Parigi, dal diametro di circa 100 chilometri. Poi si dirigerà verso il suo ultimo traguardo, la cometa 67/P Churymov-Gerasimenko, che raggiungerà dopo aver percorso 6,5 miliardi di chilometri. Il viaggio della navicella europea è iniziato nel marzo 2004. Per raggiungere la velocità necessaria, è già passata due volte intorno alla Terra e una volta intorno a Marte, ricevendone tre spinte gravitazionali. Il terzo e ultimo passaggio intorno alla Terra avverrà nel novembre 2009 e le imprimerà l’ultima spinta. Quando finalmente nel 2014 sarà in prossimità della cometa, “Rosetta” la inseguirà per un lungo tratto della sua orbita e permetterà così agli astronomi di osservare per la prima volta le trasformazioni che avvengono in una cometa a mano a mano che si avvicina al Sole e sviluppa la chioma e la coda.

domenica 10 agosto 2008




Aquiloni d'alta quota per fare energia
Inserito da scienzetv il Ven, 08/08/2008 - 10:48


AMSTERDAM, Olanda -- L'idea è geniale: costruire batterie di aquiloni per sfruttare i venti in alta quota e produrre energia pulita. L'iniziativa viene da un team di scienziati olandesi che ha progettato un aquilone di 10 metri quadrati, chiamato Laddermill, in grado di impiegare le correnti eoliche ad alta quota per produrre energia sufficiente a soddisfare il fabbisogno di 10 famiglie.
Il sistema, ovviamente, sarebbe ampliabile e di molto. Certo è che il vento in alta quota, soprattutto in zone di montagna, è una risorsa energetica inestinguibile, abbondante e totalmente rinnovabile. Secondo i calcoli degli scienziati, in termini di potenza il vento sulla Terra sarebbe in grado di produrre 100 volte l'energia necessaria a tutta la popolazione umana. La chiave sta tutta nell'alta quota. Il progetto dei ricercatori della University of Technology di Delft prevede lo sviluppo di tecnologie atte a sfruttare la potenza dei venti. Il sistema è semplice. Le batterie di aquiloni vengono liberate in alta quota ad almeno 800 metri dalla superficie terrestre, dove il vento soffia molto molto più intensamente. Attraverso un meccanismo a yo-yo, poi gli aquiloni vengono richiamati e tramettono energia cinetica a una bobina che, a sua volta, la trasforma in energia elettrica. La versione sperimentale del Laddermill può diventare in breve un vero e proprio parco eolico volante. Grazie all'utilizzo di più batterie di aquiloni, si possono produrre fino a 100 megawatt, sufficienti ad alimentare 10omila case. Sono molti i paesi del Nord Europa pronti ad investire in questa tecnologia. Olanda, Irlanda, Danimarca e Gran Bretagna sono pronti a sfruttare l'energia del vento. Ma impianti del genere sono realizzabili ovunque. pensate per esempio ai venti che si potrebbero sfruttare sull'Arco Alpino. Alcuni progetti dicono che 500 metri quadrati di aquiloni si possono produrre potenze intorno al gigawatt. Stando alle previsioni, grazie alle nuove tecnologie i primi parchi eolici di questo tipo entreranno in funzione fra cinque anni.

venerdì 8 agosto 2008

Auguri a tutti i nostri arcieri



L’IMPRESA
PAOLA FANTATO, PROTAGOSISTA DI UNA GRANDE IMPRESA AD ATENE, PER LEI LA MEDAGLIA D’ORO
L’atleta veronese ancora protagonista alle Paraolimpiadi
È riuscita a battere la concorrenza della temutissima Isozaki
La Fantato scocca la freccia d’oro
Prestazione esaltante della portacolori degli Arcieri Scaligeri, che trionfa ad Atene
“Felice di aver visto ripagati i miei sforzi”
“Volevo chiudere alla grande. Penso proprio di esserci riuscita”



La grande festa del tiro con l’arco azzurro alle Paraolimpiadi di Atene, è iniziata quando l’ultima freccia scoccata dalla atleta disabile veronese, Paola Fantato, quella che poteva aprire la porta del paradiso, si è conficcata nel cerchio magico del bersaglio. Si è conclusa così, con un ennesimo trionfo della inossidabile portacolori degli Arcieri Scaligeri, la gara individuale decisiva di questa affollata disciplina sportiva alle Paraolimpiadi di Atene.
La medaglia d’oro di Paola è la gemma più luminosa di questo diadema, un risultato straordinario se si considera i singoli valori delle atlete avversarie presenti. La prima caratteristica di una campionessa è la voglia di vincere. Una sensazione che parte dal cuore e infiamma la volontà e la carica agonistica. Il pianeta paraolimpico è ricco di campioni veri, uomini e donne che, con grande forza d’animo, sono riusciti a vincere la sfida del destino abbracciando e dominando in uno sport, con una serie di sacrifici inimmaginabili per gli atleti normodotati.
Paola Fantato è un chiaro esempio, se si considera che nella propria carriera ha vinto tutto quello che c’era da vincere, compreso le precedenti sei medaglie (quattro ori e due argenti), nelle quattro edizioni delle Paraolimpiadi. Della precisione e della freddezza della scaligera sappiamo tutti: una compostezza che è fatta di controllo e di certezze, ma anche di un talento affinato da tanta dedizione ed applicazione.
Lo ha dimostrato nel corso delle durissime selezioni cominciate con le 72 frecce di qualificazione sulla distanza dei 70 metri, per continuare con gli ottavi di finale (154/127 alla giapponese Nakainischi), con i quarti (85/80 alla ceka Cerna), con le semifinali (96/88 alla giapponese Hirisawa) e nella spettacolare finale, dove ha superato l’altra giapponese Isozaki per 97 a 83. Per avere un’idea delle difficoltà incontrate dalla Fantato nella marcia verso il traguardo, basterà ricordare che ha scagliato sul bersaglio posto a 70 metri di distanza, complessivamente 144 frecce, realizzando contemporaneamente punteggi di spicco sul piano tecnico.
Nella vita niente viene conquistato senza pagare, senza il coraggio, la tecnica e la forza che sprigiona dal cuore. Dietro ad ogni vittoria di Paola c’è una vita di sacrifici e sofferenze, ma questo suo soffrire, questo suo mai arrendersi, la inquadra come donna e ne dilata la grandezza.
“Sono ovviamente felicissima per questo oro – confessa raggiante la Fantato – che mi ripaga degli sforzi e dei sacrifici fatti negli allenamenti. In semifinale ero un tantino nervosa ed emozionata, perché volevo finire queste mie ultime Paraolimpiadi a testa alta. Superando con largo margine in finale la pericolosa giapponese Isozaki, ho mentalmente contato le ultime frecce”. “Indubbiamente questo grande successo – precisa il presidente provinciale della Fitarco, Umberto Macaccaro – è il più bello e gratificante per Paola e per tutto il movimento dell’arciaeria veronese, perché arriva dopo 20 anni di una splendida carriera, sempre ai vertici”.
Olimpo Rossin
L’Arena di Verona di domenica 26 settembre 2004

Alfonso Chiesa


Chi è
Paola Fantato inizia l’attività sportiva nel 1982, presso la Polisportiva Galm di Verona. Abbraccia il tiro con l’arco poco dopo, iscrivendosi alla Arcieri Scaligeri, dove si distingue subito per i successi nelle gare normodotati (Fitarco) e disabili della Fisd. Viene selezionata per le Paraolimpiadi di Seoul, dove conquista la medaglia d’argento.
Seguono poi due ori di Barcellona ed Atlanta dove stabilisce il nuovo record mondiale Fisd e vi partecipa pure come normodotata. A Sydney altri due ori, individuale e a squadre. E’ insignita del Collare d’oro al merito sportivo e la medaglia d’oro al valore atletico del Coni

Ricordi beneauguranti




TIRO CON L’ARCO

E’ il primo olimpionico italiano della specialità

Galiazzo “iceberg”: è oro
Nel finale rimonta con freddezza il giapponese Yamamoto

Atene. L’oro che non ci si aspettava arriva nella cornice più suggestiva. Tra le gradinate del Panathinaiko, stadio eretto alla fine del IV secolo a.C. da Licurgo e riammodernato per i primi giochi dell’Era Moderna, Atene 1896, si consuma il trionfo di Marco Galiazzo, primo olimpionico nella storia dell’arco italiano. E c’è proprio tutta Olimpia nell’impresa di questo ragazzone padovano di 21 anni, impacciato, introverso, ma freddo come un iceberg mentre scocca le sue frecce verso un bersaglio di 70 metri più in là.
Galiazzo trasforma in oro 162 frecce rivolte ad un bersaglio di 122 centimetri di diametro e un centro, quello da 10 punti, di appena 12; come la mela di Guglielmo Tell (ma lo svizzero usava la balestra), un po’ di più della fune del boia tranciata da Robin Hood pere salvare il figlio di Little John dall’impiccagione. Ci vuole una mira bestiale, sangue freddo, nessun tremore per missioni del genere. Lo stress moderno non è l’urgenza di salvare una vita, ma la folla degli spalti e delle telecamere della mondovisione, e anche la paura di fallire, possono far tremare le gambe e battere forte il cuore.
Galiazzo non si è fatto prendere dal panico. E’ rimasto calmo come un bonzo, ha estratto dalla faretra i suoi 90 siluri volanti e ha realizzato in totale 812 punti su 900 disponibili, una media superiore a 9,02 punti a tentativo. Una mira eccezionale che gli ha consentito di eliminare in successione un indonesiano, un messicano, purtroppo anche il compagno Ilario Di Buò in un derby fratricida troppo anticipato, il vicecampione olimpico di quattro anni fa, lo statunitense Vic Wunderle, il britannico Laurence Godfrey in una appassionante semifinale all’ultimo punto. Per poi regolare in conti per la medaglia d’oro con il giapponese Hiroshi Yamamoto, un insegnante di inglese di 42 anni che fu bronzo nell’84.
E’ un risultato straordinario anche per la qualità degli avversari: basti pensare che il bronzo, l'australiano Tim Cuddihy, ha realizzato il record olimpico di 340 punti nelle 36 frecce degli ultimi tre scontri. Galiazzo ha preso l'oro con 330, ma sono quelli che bastavano. Di fronte il bronzo di Los Angeles, il giapponese Yamamoto, ultra-quarantenne. Parte contratto Galiazzo con un 8 a sinistra il che consente al giapponese (due 10) di chiudere in vantaggio 28-27 il primo quarto di gara. Yamamoto, costante, centra tre 9, ma il padovano fa due 10 e, a metà gara, è avanti di un punto (56-55). Nella terza frazione altri due 10 che cancellano l’8 iniziale ed incrementano il vantaggio sull’asiatico a due lunghezze (84-82). Che diventa una soltanto a due frecce dal termine quando Yamamoto centra un 10 malgrado il vento. L’azzurro, con calma serafica ed una sicurezza da campione vero quale ha dimostrato d’essere, tende l’arco con forza e gli sono sufficienti tre 9 per cingersi il capo dell’alloro olimpico.
Suona l’inno di Mameli, l’emozione è palpabile: anche Pietro Suk, allenatore coreano trapiantato in Italia da anni e in grado di sciorinare un milanese quasi perfetto, non riesce a contenere la gioia di un oro che un po’ è anche suo, per aver portato il suo pupillo prima al titolo europeo e poi a quello olimpico all’esordio ai Giochi.
Da “L’Arena di Verona” di venerdì 20 Agosto 2004
Alfonso Chiesa

La Gazzetta dello Sport
Venerdì 20 agosto 2004
ATENE 2004
Ancora una giornata colorata d’azzurro: e ora siamo a dodici medaglie
Un arco di trionfo
Galiazzo infallibile: sbalordisce e centra un fantastico oro


Acciaio Galiazzo
Una freccia d’oro
Il 21enne dai nervi saldi trionfa nel cuore di Atene




LA STORIA
A metà ‘800 i primi campionati
Debuttò ai Giochi già nel 1900
Quando si dice che l’atletica è alle origini di tutti gli sport, che gli uomini primitivi correvano, saltavano e lanciavano, magari si dimentica che, fin dal Paleolitico (35.000 anni fa) probabilmente erano armati di un arco e di qualche freccia.
L’arco è uno dei più antichi strumenti di caccia e di offesa dell’umanità: e per migliaia d’anni fu un’arma che stimolava competizioni e confronti. L’Iliade racconta di gare di arco per i funerali di Patroclo; nell'Odissea, Ulisse, tornato a Itaca, sfidò i Proci a una prova di arco per riconquistare Penelope e il suo palazzo: Gengis Khan ebbe dall’arco, che aveva copiato dai magiari, la superiorità che gli guadagnò fama eterna.
Dell’arco conosciamo eroi e leggende, da Robin Hood e la foresta di Sherwood alla mela di Guglielmo Tell: magari non sappiamo che le prime confraternite agonistiche nacquero in Inghilterra sotto Enrico VIII, valente arciere egli stesso, e che la prima gara di cui si abbia notizia si disputò nel 1583 a Finsbury con ben tremila tiratori. Tiravano d’arco anche le signore, inclusa la regina Vittoria; e l’infallibilità con le frecce fu alla base di molti successi in battaglia degli indiani d’America.
Ma, quanto alle gare, dobbiamo arrivare fino al 1844 per trovare il primo campionato britannico di arco, al 1879 per l’esordio americano, a fine secolo per le gare francesi. L’Olimpiade di Parigi 1900 fu il primo evento a ospitare una gara internazionale di tiro con l’arco: c’erano anche le donne, assenti a St. Louis 1904, di nuovo in gara a Londra 1920.
Per le finali di Parigi, i francesi organizzarono gare in ogni villaggio, con cinquemilacinquecento partecipanti registrati e citati nel Rapporto ufficiale; ad Anversa 1920, l’arco fece la sua ultima apparizione, per la difficoltà di armonizzare le regole (la Federazione internazionale venne fondata soltanto nel 1931), prima di tornare stabilmente a Monaco 1972.
Fino a ieri, nella storia olimpica, l’Italia ha ottenuto quattro medaglie, un bronzo e un argento a squadre agli ultimi due Giochi, due terzi posti con Giancarlo Ferrari a Montreal 1976 e Mosca 1980. L’arco era nato, agonisticamente, in Italia nel secondo dopoguerra: il primo grande tiratore italiano fu una donna, Ida da Poian, campionessa europea a Zagabria 1974 nel tiro da compagna con arco ricurvo.
Elio Trifari

giovedì 7 agosto 2008



Acqua a 467°C dal fondo dell'Oceano
Inserito da scienzetv il Gio, 07/08/2008 - 11:00



BERLINO, Germania -- Sta in fondo all'Oceano Atlantico la sorgente di acqua più calda mai rilevata. Autore della scoperta una scienziata tedesca, Andrea Koshinsky, che ha identificata a 3000 metri di profondità un'area di acqua bollente che raggiunge i 467 gradi di temperatura, in corrispondenza di quello che pare essere un enorme ammasso di magma sulla dorsale medio-atlantica.
La notizia è stata riportata dall'autorevole rivista New Scientist. Secondo la Koshinsky "l'acqua in quel punto è talmente calda da non poter nemmeno essere chiamata acqua".
Scientificamente parlando, si tratterebbe infatti di un «fluido supercritico», ovvero una sostanza con una temperatura e una pressione che superano il cosiddetto punto critico, in cui cambia stato. In altre parole, la sostanza si trova a metà strada fra un gas e un liquido. E' più densa del vapore, ma più leggera dell'acqua allo stato liquido. Quello della Koshinsky è un fenomeno che finora non era mai stato osservato in natura. Secondo i geologi che affiancano la scienziata tedesca, all'origine del riscaldamento dell'acqua ci sarebbe una sorta di viaggio al di sotto del fondale marino. Ovvero, l'acqua si infiltra sotto la dorsale fino ad arrivare al magma. Qui pressione e temperatura elevatissime la portano a raggiungere appunto lo stato supercritico. Dopodiché, riemerge dal fondale, attraverso le fessure nella crosta terrestre

mercoledì 6 agosto 2008



La macchina di Anticitera era un computer
Inserito da scienzetv il Ven, 01/08/2008 - 12:01


ATENE, Grecia -- La macchina di Anticitera, strumento che risale al 150 a.C., è avvolta da numerosi misteri. Ma ora un gruppo di ricercatori inglesi hanno scoperto che la macchina era un complicatissimo congegno messo a punto per definire la data di inizio delle Olimpiadi nell'antica Grecia. Lo strumento è quindi ritenuto il più antico computer al mondo.
La macchina di Anticitera è stata rinvenuta nel 1901 su una vecchia carcassa romana al largo dell'isola greca di Anticitera (o Cerigotto) e ora è conservata presso il Museo Archeologico di Atene. Da tempo scienziati e archeologi cercano di capire quali fossero le funzionalità di tale strumento. E ora ecco che parte del mistero viene svelato. Dallo studio, pubblicato su "Nature", è emerso che la macchina era un'elaborata calcolatrice temporale, in grado di tenere insieme i più complessi sistemi di misurazione astronomica con il più popolare sistema legato alle Olimpiadi. Le Olimpiadi antiche si svolgevano ogni quattro anni e l'inaugurazion dei Giochi avveniva sempre in concomitanza della luna piena più vicina al solstizio d'estate. La Macchina di Anticitera veniva quindi utilizzata per fissare le date dei Giochi. Grazie alle analisi con i raggi X, i ricercatori hanno ottenuto una rappresentazione tridimensionale del dispositivo, riuscendo così a decifrare le iscrizioni nascoste all'interno di alcune componenti dello strumento, che metterebbero in luce i collegamenti con le Olimpiadi.
Greta Consoli

martedì 5 agosto 2008

Mulini a vento sui tetti per risparmio energetico


Mulini a vento sui tetti per risparmiare energia
Energia
Inserito da scienzetv il Mar, 05/08/2008 - 11:50

MILANO -- Un piccolo mulino a vento da piazzare sul tetto dell'abitazione che, collegato all'impianto di casa, è in grado di fornire la gran parte del fabbisogno energetico domestico. Stiamo parlando dell'"Eolienne" (nella foto), il microgeneratore eolico creato da Philippe Starck, architetto e designer francese, e prodotto dall'azienda italiana Pramac.
L'invenzione, presentata lo scorso aprile nel corso del Salone del mobile di Milano, promette di abbattere dell'80 per cento il ricorso alle forme di energia tradizionali. Oltre ad essere utile e funzionale, il mulino a vento di Starck è anche gradevole esteticamente. E' realizzato con una plastica trasparente, ha una forma quadrata e gli angoli arrotondati. L'innovativo mulino a vento, prodotto dall'azienda toscana Pramac, specializzata nella produzione di generatori elettrici e componenti per impianti fotovoltaici, dovrebbe essere venduto a un prezzo tra i 500 e gli 800 euro e poi posizionato sul tetto della propria abitazione.Poi, collegato all'impianto di casa, sarebbe in grado di fornire la gran parte del fabbisogno energetico domestico. Il rendimento dell'apparecchio è ovviamente legato a numerosi fattori come l'esposizione a venti e correnti.

Greta Consoli