martedì 30 dicembre 2008

Ecco la macchina che legge la mente


Ricerca scientifica
Ecco la macchina che legge nella mente
Inserito da scienzetv il Lun, 15/12/2008 - 13:43

TOKIO, Giappone -- L'impresa ha del clamoroso anche se, da un certo punto di vista, mette i brividi. Stando a quanto affermato, un gruppo di scienziati giapponesi è riuscito a riprodurre sulla schermo le immagini prodotte dalla mente umana.
L'esperimento, condotto dai ricercatori dei Laboratori di neuroscienza computazionale Atr di Kyoto, ha dimostrato la possibilità di ricostruire varie immagini viste da una persona analizzando il suo flusso sanguigno cerebrale.
Per realizzare l'esperimento è stata utilizzata una macchina di risonanza magnetica (fMRI). Attraverso il complesso dispositivo sono state mappati i cambiamenti del flusso sanguigno al variare delle immagini percepite dal soggetto in un periodo di tempo di 12 secondi. Nel frattempo un computer analizzava i dati e associava le variazioni. Poi al soggetto è stata sottoposta una nuova serie di immagini e le lettere dell'alfabeto. Ebbene, il computer è stato in grado di ricostruire quel la persona stava vedendo, analizzando solo la sua attività cerebrale. Si tratta di un risultato clamoroso, che apre le porte ad ulteriori miglioramenti. Finora la ricerca è stata condotta con 400 immagini in bianco e nero. Ma gli scienziati contano di arrivare a definire situazioni più complesse, fino a rappresentare le immagini del pensiero e persino i sogni entro i prossimi 10 anni. I risultati dello studio sono stati pubblicati dalla rivista statunitense Neuron. Illimitato - quanto inquietante - il campo di applicazione. Si va dall'analisi dei processi mentali e creativi dei grandi artisti, alla cura delle allucinazioni e di patologie psichiatriche. Mentre gli scienziati pensano di estendere la ricerca anche a sentimenti e stati emozionali delle persone.

giovedì 25 dicembre 2008

Hanny's Voorwerp senza misteri




12 Dicembre 2008

Hanny's Voorwerp senza misteri
di Claudio Elidoro - Fonte: ASTRON






La scoperta di quello strano oggetto - subito battezzato Hanny's Voorwerp (Oggetto di Hanny) in onore di Hanny van Arkel, l'insegnante olandese che lo aveva scoperto - aveva lasciato tutti quanti perplessi. E non tanto perché quella nube verdastra estremamente calda e di dimensioni galattiche posta a circa 60 mila anni luce di distanza dalla vicina galassia IC2497 era finora sfuggita a ogni osservazione, ma piuttosto perché non era per nulla chiaro di cosa potesse trattarsi.Per capirne di più, un team internazionale guidato da Mike Garrett (ASTRON - Leiden) e del quale faceva parte lo stesso van Arkel ha osservato IC2497 e il Voorwerp con il radiotelescopio di Westerbork e con il VLBI. Dall'analisi delle osservazioni radio è emersa l'esistenza di un getto altamente energetico generato probabilmente dal massiccio buco nero posto al centro di IC2497 e diretto verso il Voorwerp. "E' come se quel getto proveniente dal cuore della galassia - ha commentato Garrett - si aprisse la strada nel denso mezzo interstellare di IC2497 dirigendosi poi verso l'Hanny Vorweerp e permettendo così a un fascio di intensa emissione ottica e ultravioletta associato al buco nero di illuminare una piccola parte dell'immensa nube di gas che avvolge la galassia. E' proprio quel fascio energetico che, riscaldando e ionizzando il gas della nube, crea quel bizzarro oggetto scoperto da Hanny."Se il meccanismo proposto è chiaro, un po' più misteriosa è invece la provenienza di quell'enorme quantità di idrogeno che costituisce la nube che circonda IC2497, valutata dai ricercatori dell'ordine di 5 miliardi di masse solari. A dire il vero, però, qualche idea concreta c'è, e anche piuttosto attendibile. L'analisi della nube, infatti, ha permesso di scoprire che si estende per trecento mila anni luce, puntando in direzione di un gruppo di galassie. Potrebbe dunque trattarsi dell'indicazione concreta che ci troviamo di fronte ai resti della violenta interazione mareale tra IC2497 e un'altra galassia.Insomma, sembra proprio che quel bizzarro oggetto scoperto quasi per caso da Hanny van Arkel ci abbia messo sulle tracce di una immane catastrofe galattica avvenuta centinaia di milioni di anni fa. Che ci nasconda anche qualche altro segreto?

lunedì 15 dicembre 2008

La Terra primordiale non era desolata


La dinamica delle zolle crostali poteva essere già attiva


La Terra primordiale non era desolata



Prove indirette dell'esistenza di acqua liquida, forse oceani, risalenti a 4,2 miliardi di anni fa
Come si pensava fosse la Terra nell'Adeano«Io non sono cattiva. È che mi disegnano così». La frase di Jessica Rabbit potrebbe adattarsi alla Terra primordiale, quella di 4,2 miliardi di anni fa, poco più di 300 milioni di anni dopo la formazione del nostro pianeta. Finora si era sempre pensato, e illustrato, la Terra del periodo Adeano (4,5-3,85 miliardi di anni fa) più o meno come l'inferno: atmosfera irrespirabile, vulcani e lava da ogni parte, rocce fuse in fase di raffreddamento, assenza di acqua liquida e di vita di qualsiasi ordine e grado, enormi asteroidi (fino a 200-300 km di diametro) che periodicamente colpivano il pianeta squassandolo. Recenti scoperte ribaltano questa immagine e, anzi, ne emerge una opposta: meno asteroidi e comunque non in grado di estinguere del tutto le prime forme di vita (archea) che si erano formate, acqua liquida e forse oceani, rocce solide che avevano formato una crosta con l'inizio dell'attività tettonica, ossia il movimento delle placche e la formazione di continenti, come avviene ora. Insomma, non proprio un paradiso, ma un posto passabile.


ZIRCONI - Sul giornale scientifico Nature è comparso uno studio guidato dal professore di geochimica a Ucla (University of California Los Angeles) Mark Harrison in cui si portano prove dell'esistenza dell'attività tettonica terrestre già nei primi 500 milioni di anni della storia del pianeta. Analizzando con nuove tecniche estremamente sofisticate le inclusioni nei cristalli di zircone rinvenuti all'interno di rocce laviche dell'Australia occidentale risalenti a 3 miliardi di anni, si è scoperto che gli zirconi sono molto più vecchi (4-4,2 miliardi di anni) e si sono formati in una zona in cui il flusso di calore era di 75 milliwatt per metro quadro, di gran lunga inferiore a 200-300 milliwatt al metro quadro previsto per quel periodo geologico. L'unico ambiente possibile per la formazione di zirconi con un flusso di calore così basso è quello della zona di collisione tra placche tettoniche, come avviene oggi tra la placca di Nazca nell'oceano Pacifico che s'infila sotto il Sudamerica e va a formare la catena delle Ande grazie anche a temperature di fusione inferiori dovute alla grande presenza di acqua nelle rocce.
ACQUA LIQUIDA - Finora gli scienziati giudicavano impossibile l'esistenza nell'Adeano di una tettonica attiva, ma questo studio dimostra due cose: la presenza di vaste estensioni di acqua liquida (oceani o almeno mari) e rocce già solidificate, quindi un ambiente molto diverso da un pianeta infernale di vulcani, colate di lava e rocce bollenti.

NUOVI SCENARI - Questo studio apre quindi scenari nuovi per la storia dell'evoluzione. Le più antiche testimonianze di vita sono contenute in rocce di 3,83 miliardi di anni rinvenute in Groenlandia, come riporta martedì il New York Times. Ma a questo punto la presenza di crosta solida e acqua liquida (e un minore bombardamento di asteroidi, come risulta da recenti studi) viene spostata a un periodo di molto anteriore, fino a 4,4 miliardi di anni fa, concedendo così una fase molto più lunga per il periodo di incubazione delle prime forme di vita, come presume Stephen J. Mojzsis, professore di geologia all'Università del Colorado.
Paolo Virtuani

02 dicembre 2008

(ultima modifica: 03 dicembre 2008)

sabato 13 dicembre 2008

L'universo che rimbalza



L'universo che rimbalza

Le Scienze, dicembre 2008, n.484

Il nostro universo potrebbe non essere cominciato con il big bang ma con un big bounce, un grande rimbalzo, ovvero l'implosione di un universo precedente che ha poi scatenato un'esplosione. Di Martin Bojowald

Chi acquista la rivista con allegato il libro, riceverà in omaggio il calendario di Telespazio
Secondo la teoria della relatività generale di Einstein l'universo è nato con la singolarità del big bang, un istante in cui tutta la materia che osserviamo era concentrata in un solo punto con densità infinita. Ma questa teoria non descrive la struttura quantistica fine dello spazio-tempo, che pone un limite alla concentrazione della materia e all'intensità della forza di gravità. Per ricostruire l'accaduto, i fisici hanno bisogno di una teoria quantistica della gravità. Secondo una teoria candidata a colmare questa lacuna, ovvero la teoria della gravità quantistica a loop, lo spazio è suddiviso in «atomi» di volume e ha una capacità finita di contenere materia ed energia, impedendo l'esistenza di una singolarità.Se così fosse, il tempo potrebbe essere esistito anche prima del big bang. L'universo pre-big bang potrebbe aver subito una catastrofica implosione che ha raggiunto un punto di massima densità, per poi invertire la rotta. Ovvero, una grande compressione avrebbe portato a un grande rimbalzo e poi al big bang.

giovedì 11 dicembre 2008

Nuova teoria sul Diluvio Universale


Nuova teoria sul Diluvio universale
Inserito da scienzetv il Gio, 11/12/2008 - 12:10
GERUSALEMME -- E' uno dei misteri più antichi della Terra. Narrato da poeti, leggende e miti. E non c'è archeologo al mondo che non ne abbia cercato le tracce, per confermare o smentire la sua esistenza. Stiamo parlando del diluvio universale e della mitica arca di Noè. Ora spunta una nuova teoria che sostiene che il diluvio ci fu eccome, in Galilea, settemila anni fa.
Secondo gli studi dell'archeologo inglese Sean Kingsley, il diluvio narrato da Bibbia, mitologia greca, epopea mesopotamica, tradizioni indù e civiltà precolombiane, altro non sarebbe che un'onda gigantesca che cancellò sei villaggi del Neolitico, lasciando ancora oggi - a dieci metri sottoterra - le tracce di quelle che un tempo erano case e templi. Kingsley si basa sugli studi effettuati sugli scavi del Monte Carmelo, in Galilea. Studi che contraddico la teoria ufficiale secondo cui il diluvio universale sarebbe avvenuto alla fine della glaciazione attraverso un'esondazione avvenuta molto più a Nord, fra il Mediterraneo e il Mar Nero. Un disastro immane avvenuto 9000 anni fa quando il livello del mare si alzò di 155 metri e le onde coprirono una regione di 150mila chilometri quadrati. Una catastrofe di cui però non ci sono segni tangibili, secondo Kingsley. «E' un assurdo - dice lo studioso inglese -. Come è possibile che un’alluvione del mar Nero non abbia lasciato segni? E' più plausibile, scientificamente, la leggenda dell’arca trascinata dai flutti e abbandonata sul Monte Ararat oppure questi sei villaggi, che furono travolti dalle acque nel cuore della terra biblica?".Secondo Kingsley, ci sarebbero indicazioni geologiche piuttosto evidenti che dimostrerebbero che i villaggi sono stati cancellati un’onda killer. In realtà la sua teoria deriva dagli studi di un altro archeologo, l’israeliano Ehud Galili. Questi, vicino a Haifa ha diretto il recupero del sito di Atlit-Yam, uno dei sei villaggi neolitici, il più grande mai ritrovato nell’area mediterranea. Tuttavia Galili, come diversi altri, nutre forti dubbi sull'inondazione in Galilea. «Non c’è nessuna prova che le case siano state abbandonate per un evento catastrofico. E non ci sono prove di un’onda assassina, bensì di un progressivo innalzamento del Mediterraneo. Il modo in cui questi villaggi furono sommersi non fu drammatico e non può essere rimasto così impresso nella memoria d’antichi popoli, per millenni, come lo fu il diluvio».

mercoledì 10 dicembre 2008

Internet, il futuro passa dalla fotonica



Internet: il futuro passa dalla fotonica
Inserito da scienzetv il Mer, 10/12/2008 - 12:37
NEW YORK, Usa -- Il tanto temuto collasso probabilmente non ci sarà. Internet e la spropositata quantità di informazioni contenuta nella rete continueranno a crescere grazie alla fotonica. Questa tecnologia permetterà di costruire chip per computer enormemente più veloci degli attuali e già in fase di sperimentazione in diversi laboratori di ricerca in tutto il mondo.
Secondo quanto riporta uno studio pubblicato su Nature Photonics, il futuro dei computer e della rete passa per le performance ottenute da un Avalanche Photo Detector basato sul silicio, invece che su un mix di indio e fosforo come accade ora. I ricercatori di Intel Labs puntano a trasmettere e ricevere informazioni ottiche attraverso l'impiego della fotonica su chip di semplice silicio.Le sperimentazioni hanno dato finora risultati eccezionali. Le prestazioni sono aumentate in maniera esponenziali rispetto ai dispositivi ottici attualmente in commercio. Inoltre i costi di produzione, dato che si tratta di un materiale facilmente reperibile, verrebbero enormemente ridotti. Ciò significa maggiori possibilità anche per internet. "La rete oggi, nelle sue condizioni migliori, raggiunge velocità di circa 100 megabits al secondo" ha detto a Repubblica il direttore del Photonic Techonology lab della Intel, Mario Paniccia. "Qui invece parliamo di velocità che vanno dai 10 ai 100 gigabyte per secondo. E a costi dieci volte inferiori".In futuro, grazie alla fotonica del silicio si potranno veicolare un numero molto più elevato d'informazioni attraverso la rete. La banda larga, dunque, è destinata a diventare larghissima, rendendo finalmente possibili le applicazioni di medicina remota o gli ambienti virtuali in 3 dimensioni. Oltre alle comunicazioni, sostengono gli esperti, questo tipo di chip basati sul silicio possono essere applicati ad altri settori. Si va dal rilevamento fotografico all'imaging, dalla crittografia quantistica alle applicazioni biologiche. Per il nuovo passo verso il futuro serviranno però almeno altri due-tre anni di ricerche. Certo è che il gioco vale la candela. Ne sono convinti gli scienziati della Intel. "Il guadagno in termini di velocità e di costi è tale che siamo sicuri che la strada che abbiamo intrapreso sia quella giusta".

martedì 9 dicembre 2008

Invasione di super formiche in Europa



Invasione di super formiche in Europa
Piante e Animali
Inserito da scienzetv il Gio, 04/12/2008 - 12:41




LONDRA, Gran Bretagna -- Il loro nome "Lasius neglectus" fa storcere il naso. Ancora di più lo fanno le conseguenze su giardini e coltivazioni. L'Inghilterra trema sotto l'assedio di milioni di formiche di una specie "aliena" (nel senso di "non locale") forse proveniente dal Centrasia.
Il Daily Teleghraph le ha già soprannominate "super aunt" (super formiche). Sono capaci di provocare disastri inimmaginabili nei giardini, prati, aiuole e tutto quanto sia per loro commestibile. Comprese le formiche "residenti".
Sulla provenienza di questo esercito di piccoli animali "divoratutto" si sta ancora indagando. Secondo una ricerca finanziata dall'Unione Europea e pubblicata dalla rivista scientifica online Bcm Biology, si tratta di una specie euroasiatica, originaria del Mar Nero. Ma come sono arrivate da noi? Probabilmente attraverso un'introduzione involontaria da parte di qualche turista. Le formiche potrebbero essersi infilate in zaini o a bordo di automobili. E via...I primi esemplari sono stati individuati nel 1990 a Budapest. Da quel momento è iniziata una marcia inarrestabile sull'Europa. Fino a superare, con lo stesso metodo, il canale della Manica alla volta della verde Inghilterra.Secondo quanto rilevato dai ricercatori sarebbero 14 le colonie di super formiche localizzate sul suolo europeo. Si va dalla Polonia alla Turchia, passando per Belgio, Francia, Spagna, Germania e Italia. Certo è che queste super formiche sono molto resistenti. Prosperano in ambienti urbani. Sono molto aggressive, ammazzano le specie native, sterminano ragni e altri insetti, sopravvivono sottozero e possono arrivare ovunque. Il problema è che creano formicai fino a cento volte più grandi della norma. I ricercatori sono preoccupati. L'Europa, concludono nel rapporto, è già stata attraversata da insetti invasivi, ma mai da una specie pestifera come questa.

giovedì 4 dicembre 2008

Sarà italiana la futura "vetrata" della stazione spaziale



» 2008-12-04 20:06
SARA' ITALIANA LA FUTURA 'VETRATA' DELLA STAZIONE SPAZIALE

WASHINGTON - Come nei film di guerre stellari, in un futuro non lontano gli astronauti che lavoreranno sulla Stazione Spaziale Internazionale potranno guardare il cosmo (e la Terra) affacciati ad una enorme vetrata. Quella vetrata, proprio come in Guerre Stellari, sarà ricurva, a forma di cupola. Per realizzare quel pezzo unico, vero capolavoro di ingegneria aerospaziale, la Nasa ha chiesto aiuto alla tecnologia e alla creatività italiana. La nuova cupola è infatti frutto del lavoro della Thales Alenia Space, la joint venture nata dalla Finmeccanica e dalla Thales Sa francese, ed è stata realizzata a Torino. A progettare quella cupola ci avevano provato anche gli ingegneri americani della Boeing, e un gruppo di ingegneri tedeschi che avevano a loro volta presentato un loro progetto all'Agenzia Spaziale Europea (ESA). Ma, alla fine, sono stati gli ingegneri italiani a realizzarla: in un officina di Torino hanno 'estratto' la curva cornice tridimensionale di questa enorme finestra da un unico blocco di alluminio. Quello 'l'infisso della cupola di vetro che farà da 'finestra' e da 'soffitto' alla Stazione Spaziale Internazionale. Il Wall Street Journal dedica oggi un servizio in prima pagina a questa "impresa tecnologica", definendo il progetto italiano degno di un Michelangelo dei tempi moderni in quanto a creatività e capacità realizzative.