Scoperto un meccanismo di accesso al DNA che potrebbe rivelarsi importante nella strategia di cura di diverse malattie genetiche
"Qui non posso entrare": non è solo un avvertimento per i nostri amici a quattro zampe, ma anche un messaggio genetico. Molti dei nostri geni, infatti, non vengono letti e interpretati dalla cellula per il semplice fatto che è come se fossero dietro a una porta chiusa.
E che il complesso macchinario cellulare addetto a trasformarli in proteine non ha la chiave per entrare. Un caso particolare è quello descritto nello studio pubblicato su PLoS Biology da ricercatori dell'Istituto Telethon Dulbecco (DTI) diretti da Davide Corona, grazie ai finanziamenti di Telethon e della Fondazione Giovanni Armenise-Harvard.
Protagoniste del lavoro sono due proteine: la prima, ISWI, scoperta dal gruppo di Corona nel 2007, ha la peculiare capacità di determinare la forma dei cromosomi, indicando al DNA come e quanto deve impacchettarsi su se stesso.
L'importanza di questa proteina è confermata dal fatto che nel corso dell'evoluzione si è conservata quasi del tutto intatta: quella di Drosophyla melanogaster è uguale per il 90 per cento a quella umana e svolge praticamente la stessa funzione.
Fra gli oltre cento geni che interagiscono con ISWI, uno si è imposto all'attenzione dei ricercatori, quello che esprime la proteina PARP. Noto finora per lo più per il suo ruolo nella riparazione dei danni al DNA, il gene di PARP ha rivelato una stretta relazione con ISWI: è infatti in grado di mettere una sorta di bandierina chimica su questa proteina e di bloccarne l'attività.
"Il risultato è che, venendo meno l'attività di ISWI, il DNA risulta meno impacchettato e i geni fino a quel momento inaccessibili possono essere espressi. In altre parole, si aprono le porte che prima erano sprangate", spiega Anna Sala, una delle collaboratrici di Corona e autrice di questo studio.
Questo risultato, oltre a rappresentare un passo avanti delle conoscenze sui meccanismi epigenetici, potrebbe contribuire a nuove strategie di cura. Esistono infatti delle forme tumorali e diverse malattie genetiche - come la sindrome di Williams - che potrebbero essere legate anche a un problema di accesso al DNA.
Non a caso, caratteristica comune di queste patologie così diverse è quella di essere multisintomatiche: questo perché alla base non c'è l'alterazione in un singolo gene, ma in un meccanismo che regola più geni. Ma ancora più promettente è il fatto che esistono dei farmaci, che sono in grado di bloccare l'attività di PARP: si potrebbe quindi pensare che, in una sorta di effetto domino, ISWI non venga più "spento" e che venga aperta la porta di quei geni prima inaccessibili. Basti dire che, come è emerso da una speciale analisi computerizzata, i ricercatori hanno visto che ISWI è in grado di influenzare l’espressione del 5 per cento dell’intero genoma.
"Qui non posso entrare": non è solo un avvertimento per i nostri amici a quattro zampe, ma anche un messaggio genetico. Molti dei nostri geni, infatti, non vengono letti e interpretati dalla cellula per il semplice fatto che è come se fossero dietro a una porta chiusa.
E che il complesso macchinario cellulare addetto a trasformarli in proteine non ha la chiave per entrare. Un caso particolare è quello descritto nello studio pubblicato su PLoS Biology da ricercatori dell'Istituto Telethon Dulbecco (DTI) diretti da Davide Corona, grazie ai finanziamenti di Telethon e della Fondazione Giovanni Armenise-Harvard.
Protagoniste del lavoro sono due proteine: la prima, ISWI, scoperta dal gruppo di Corona nel 2007, ha la peculiare capacità di determinare la forma dei cromosomi, indicando al DNA come e quanto deve impacchettarsi su se stesso.
L'importanza di questa proteina è confermata dal fatto che nel corso dell'evoluzione si è conservata quasi del tutto intatta: quella di Drosophyla melanogaster è uguale per il 90 per cento a quella umana e svolge praticamente la stessa funzione.
Fra gli oltre cento geni che interagiscono con ISWI, uno si è imposto all'attenzione dei ricercatori, quello che esprime la proteina PARP. Noto finora per lo più per il suo ruolo nella riparazione dei danni al DNA, il gene di PARP ha rivelato una stretta relazione con ISWI: è infatti in grado di mettere una sorta di bandierina chimica su questa proteina e di bloccarne l'attività.
"Il risultato è che, venendo meno l'attività di ISWI, il DNA risulta meno impacchettato e i geni fino a quel momento inaccessibili possono essere espressi. In altre parole, si aprono le porte che prima erano sprangate", spiega Anna Sala, una delle collaboratrici di Corona e autrice di questo studio.
Questo risultato, oltre a rappresentare un passo avanti delle conoscenze sui meccanismi epigenetici, potrebbe contribuire a nuove strategie di cura. Esistono infatti delle forme tumorali e diverse malattie genetiche - come la sindrome di Williams - che potrebbero essere legate anche a un problema di accesso al DNA.
Non a caso, caratteristica comune di queste patologie così diverse è quella di essere multisintomatiche: questo perché alla base non c'è l'alterazione in un singolo gene, ma in un meccanismo che regola più geni. Ma ancora più promettente è il fatto che esistono dei farmaci, che sono in grado di bloccare l'attività di PARP: si potrebbe quindi pensare che, in una sorta di effetto domino, ISWI non venga più "spento" e che venga aperta la porta di quei geni prima inaccessibili. Basti dire che, come è emerso da una speciale analisi computerizzata, i ricercatori hanno visto che ISWI è in grado di influenzare l’espressione del 5 per cento dell’intero genoma.
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