ARCHEOLOGIA. UNA NOBILDONNA TURKMENA UCCISA CON UN COLPO D’ACCETTA IN FRONTE Studioso italiano svela delitto di 4mila anni fa.
Sepolta con un ricchissimo corredo funebre. Ha guardato negli occhi il suo assassino
Scavando nella cittadella fortificata di un'oasi nel deserto del Karakum, in Turkmenistan, l'archeologo italiano Gabriele Rossi Osmida si è imbattuto in un inquietante delitto perpetrato quattro millenni fa: nella necropoli di una cultura di antichi carovanieri è emersa una eccezionale sepoltura dotata di un ricco corredo funebre, dedicata ad una dama di alto lignaggio di circa 40 anni, che era stata assassinata con un colpo d'ascia infertole nel centro della fronte. Sono intriganti i dettagli di questo misterioso omicidio, emersi dallo studio paleo-patologico del corpo della donna, che sicuramente fu seppellito con tutti gli onori non oltre le 48 ore dal decesso, ancora irrigidito nel rigor mortis, e rimasto in tutti questi millenni nella medesima posizione in cui la morte l'aveva immobilizzato: inginocchiata, con un braccio a coprire gli occhi. Ma quella signora vide sicuramente in faccia il suo assassino, poiché la ferita dell'ascia sulla sua fronte è centrale. A complicare il mistero di questo «giallo» di 4000 anni fa sono i segni dell'alto rango sociale presenti nel corredo funebre della signora uccisa: c'è anche il suo sigillo in bronzo, indizio certo del potere amministrativo che veniva affidato alle donne di quell'antica cultura di mercanti carovanieri del deserto. «Con ogni verosimiglianza - commenta Rossi Osmida - gli uomini morivano per la maggior parte lontano dall'oasi, durante i viaggi commerciali sulle vie del deserto e impegnati nelle missioni carovaniere». Pertanto, la continuità del potere amministrativo doveva restare affidata alle donne, che rimanevano nella capitale: è nelle loro tombe che sono infatti presenti i sigilli in bronzo che servivano a marchiare le mercanzie. A poco servirono dunque le mura ciclopiche rivelate dallo scavo, organizzato dal Centro Studi Ricerche Ligabue con il contributo del Ministero degli Affari Esteri, e diretto dall'archeologo italiano: la poderosa fortificazione, in mattoni crudi, poggiava su strutture ancora più antiche, forse accampamenti. L'incendio della fine del 3 millennio a.C. provocò crolli consistenti, ma comunque ha permesso oggi agli archeologi di rintracciare e recuperare le coperture dei tetti carbonizzate.
Il Giornale di Vicenza
Scavando nella cittadella fortificata di un'oasi nel deserto del Karakum, in Turkmenistan, l'archeologo italiano Gabriele Rossi Osmida si è imbattuto in un inquietante delitto perpetrato quattro millenni fa: nella necropoli di una cultura di antichi carovanieri è emersa una eccezionale sepoltura dotata di un ricco corredo funebre, dedicata ad una dama di alto lignaggio di circa 40 anni, che era stata assassinata con un colpo d'ascia infertole nel centro della fronte. Sono intriganti i dettagli di questo misterioso omicidio, emersi dallo studio paleo-patologico del corpo della donna, che sicuramente fu seppellito con tutti gli onori non oltre le 48 ore dal decesso, ancora irrigidito nel rigor mortis, e rimasto in tutti questi millenni nella medesima posizione in cui la morte l'aveva immobilizzato: inginocchiata, con un braccio a coprire gli occhi. Ma quella signora vide sicuramente in faccia il suo assassino, poiché la ferita dell'ascia sulla sua fronte è centrale. A complicare il mistero di questo «giallo» di 4000 anni fa sono i segni dell'alto rango sociale presenti nel corredo funebre della signora uccisa: c'è anche il suo sigillo in bronzo, indizio certo del potere amministrativo che veniva affidato alle donne di quell'antica cultura di mercanti carovanieri del deserto. «Con ogni verosimiglianza - commenta Rossi Osmida - gli uomini morivano per la maggior parte lontano dall'oasi, durante i viaggi commerciali sulle vie del deserto e impegnati nelle missioni carovaniere». Pertanto, la continuità del potere amministrativo doveva restare affidata alle donne, che rimanevano nella capitale: è nelle loro tombe che sono infatti presenti i sigilli in bronzo che servivano a marchiare le mercanzie. A poco servirono dunque le mura ciclopiche rivelate dallo scavo, organizzato dal Centro Studi Ricerche Ligabue con il contributo del Ministero degli Affari Esteri, e diretto dall'archeologo italiano: la poderosa fortificazione, in mattoni crudi, poggiava su strutture ancora più antiche, forse accampamenti. L'incendio della fine del 3 millennio a.C. provocò crolli consistenti, ma comunque ha permesso oggi agli archeologi di rintracciare e recuperare le coperture dei tetti carbonizzate.
Il Giornale di Vicenza
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